Mente
e Cervello
La
mente è una delle espressioni principali dell'attività
del sistema nervoso centrale.
Con
il termine "mente" si indica l'insieme dinamico dei
processi deputati all'elaborazione delle informazioni (Del Miglio,
1997). La mente processa gli stimoli provenienti dalla realtà
esterna (percezione esterocettiva), dal proprio corpo (percezione
enterocettiva) e dalle percezione del proprio corpo nello spazio
(percezione propriocettiva).
Le
informazioni vengono processate attraverso l'attività di
funzioni psichiche interagenti ed interdipendenti che elaborano gli
stimoli percepiti secondo peculiari modalità. La percezione,
l'attenzione, la memoria, l'intelligenza, il pensiero, la coscienza,
l'affettività, l'istintualità e la volontà
(Sarteschi, 1982) concorrono a organizzare queste informazioni in un
sistema coerente che permette all'individuo di fare esperienza del
mondo e di se stesso in rapporto al mondo e di regolare il proprio
stato fisiologico, emotivo e comportamentale al fine di perseguire
l'adattamento quanto più ottimale possibile al proprio
ambiente di vita (Ammaniti, 2010).
Tra
autoregolazione ed eteroregolazione
La
biologia evoluzionistica sottolinea, infatti, come lo scopo ultimo di
ogni organismo vivente sia quello di sopravvivere nel migliore dei
modi possibile e di riprodursi.
Gli
studi in ambito biologico di Von Bertanlaffy (1952, 1968) sono giunti
a concettualizzare la Vita come un insieme costituito da sistemi
viventi di complessità crescente in continua interazione tra
loro. Ognuno di questi sistemi, dalla cellula alla biosfera, è
caratterizzato sia da modalità di funzionamento peculiari del
proprio livello di complessità, sia da principi primari che
caratterizzano ogni livello di funzionamento.
Questi
ultimi, fondanti la cellula, come l'organismo e la società,
sono stati denominati principio di "Organizzazione" e di
"Attività primaria".
Per
il principio di "Organizzazione" ogni sistema vivente, e
quindi ogni essere umano, tende alla coerenza, ossia all'integrazione
funzionale fra le sue parti, e questa tendenza integrativa è
endogena, ossia rappresenta l'"attività primaria"
per la quale ogni sistema vivente è in grado di autoregolarsi,
autocorregersi e autogenerarsi.
Tali
processi autoregolativi necessitano tuttavia di uno scambio continuo
con il mondo esterno, ossia con i diversi livelli di complessità
del sistema Vita. Questo dinamica eteroregolativa si esplica mediante
quello che Weiss (1947, 1970) ha definito "principio delle
specificità", ossia mediante una "sorta di risonanza
tra due sistemi sintonizzati reciprocamente su proprietà
corrispondenti" (Sander, 2007).
Tra
geni e ambiente
La
ricerca psicologica sull'infanzia, in linea con le conclusioni a cui
è giunta la scienza biologica, ha evidenziato come gli esseri
umani siano in grado, fin dalla nascita, di creare una coerenza ed
un'organizzazione dell'esperienza percettivo-affettiva, di
autoregolarsi, di padroneggiare gli eventi (Emde, 1981a) e di
sintonizzarsi con il mondo (Stern, 1985). Il cervello umano, dunque,
predispone l'individuo ad adattarsi all'ambiente.
Tale
predisposizione è ovviamente una possibilità inscritta
nel patrimonio genetico umano e presenta una grande variabilità
da individuo a individuo. La maggiore o minore reattività agli
stimoli esterni, la capacità di filtrarli, le capacità
cognitive di base, la propensione all'introversione o
all'estroversione, eccetera, costituiscono aspetti temperamentali di
base esprimenti un patrimonio genetico individuale predisponente a
determinate modalità affettivo-cognitive e comportamentali
(Gabbard, 2007; Dazzi et al., 2009).
Tuttavia,
non sono semplicemente i geni a forgiare il cervello, la mente e,
quindi, il comportamento umano. Il “fenotipo” dipende, infatti,
dalla modulazione operata da parte degli stimoli, ambientali e
interni, sull'espressione delle caratteristiche codificate dai geni.
I geni non sono entità monolitiche, bensì composte da
parti funzionalmente eterogenee. L'informazione trasmessa è
codificata all'interno della sequenza nucleotidica, che identifica il
cosiddetto “gene strutturale”, composta dalle basi azotate
(ademina, timina, citosina e guanina). L'allele o promotore del gene
determina la minore (forma corta dell'allele) o maggiore (forma
lunga) espressione della caratteristica codificata dal gene.
Il
gene strutturale e l'allele si trasmettono per via ereditaria e non
sono passibili di modificazioni ambientali. Solo le mutazioni
genetiche possono causarne una modificazione.
Altre
parti del gene, invece, sono molto sensibili all'influenza
dell'ambiente. L'”enhancer”, in particolare, costituisce la
porzione che primariamente regola l'espressione genica, determinando
“se e quanto” la proteina (e quindi il carattere) codificato da
un determinato gene viene espressa.
Le
informazioni originanti dalle sensazioni vengono elaborate dal
Sistema Nervoso mediante complessi meccanismi di trasmissione
implicanti impulsi elettrici e trasformazioni biochimiche. Le
connessioni che permettono la comunicazione e lo scambio di sostanze
biochimiche e di energia fra i neuroni (sinapsi) si modificano
funzionalmente e strutturalmente elicitando una gamma di eventi
all'interno della cellula nervosa. La fosforilazione (attivazione) di
determinati enzimi presenti all'interno dei neuroni, i “regolatori
trascrizionali”, darà l'avvio ad una serie di fenomeni, a
livello molecolare, responsabili della modulazione dell'espressione
genica. Legandosi all'enhancer, il regolatore trascrizionale
coinvolto attiverà l'RNA polimerasi che, legandosi a sua volta
al promotore, comporterà la trascrizione della sequenza
nucleotidica in RNA messaggero che, conseguentemente, produrrà
la catena di amminoacidi costituente la proteina espressione della
caratteristica codificata dallo specifico gene. In questo modo si
formano le memorie. In questo modo l'esperienza lascia traccia e
modifica la biologia cerebrale.
Lo
scambio di materia (cibo, farmaci, ect..) e di informazioni
(conoscenze, esperienze, relazioni, ect.) tra l'ambiente e
l'individuo porta ad una continua ristrutturazione della
neurobiologia individuale (Mundo, 2009).
Per
esempio, la schizofrenia, il più grave fra i disturbi
psichici, è la patologia che più presenta una
componente genetica. Tuttavia, la genetica spiega solo il 46% del
disturbo. Infatti, gli studi sui gemelli omozigoti, che condividono
il 100% del patrimonio genetico, hanno riscontrato l'insorgenza di un
disturbo schizofrenico in entrambi i membri della coppia gemellare in
percentuali che non superavano mai il 50% (ibidem).
Nella
genesi della schizofrenia, una predisposizione ad una maggior
reattività agli stimoli esterni e ad una minore capacità
di filtrare gli stimoli sensoriali interagirebbe con vari fattori
ambientali (infettivi, organici, relazionali, stress e traumi
psichici) (Gabbard, 2007). La componente genetica è via via
meno significativa man mano che si scende di gravità.
L'aspetto relazionale, il modo in cui l'individuo si è
adattato ai vari eventi della sua vita, interiorizzando e
ristrutturando attivamente le varie esperienze interpersonali che ha
vissuto, in base alle proprie vulnerabilità e alle proprie
risorse, è nelle configurazioni psicopatologiche il fattore
eziopatogenetico principale. E' il “copione di vita” (Berne,
1964) così formato a farci protendere o meno verso il
benessere psicologico. I principali approcci psicoterapici
(psicoanalisi, cognitivismo, comportamentismo, gestalt, analisi
transazionale), pur nelle loro diversità di approccio,
sottolineano come il modo, conscio e inconscio, con cui valutiamo il
mondo e noi stessi, costruendo le aspettative su cui basiamo i nostri
affetti, i nostri pensieri ed i nostri comportamenti, è ciò
da cui dipende la nostra salute mentale (Fonagy, Target, 2005;
Gabbard, 2010).
La
matrice relazionale della Personalità
L'evoluzione
degli studi nell'ambito dell'Infant Research, della Psicopatologia
evolutiva e della Psicoanalisi ha ampiamente confermato la primaria
importanza delle esperienze relazionali, sia nell'infanzia (Westen,
1997) che nel corso della vita (Kagan, 1998), per lo sviluppo della
personalità.
Con
il termine personalità si intende l'organizzazione psichica
sottostante agli specifici pattern individuali di percezione,
affetto, sperimentazione, adattamento e stile relazionale (Ammaniti,
2001).
Fin
dalla nascita, l'essere umano possiede capacità mnemoniche che
gli consentono di crearsi aspettative degli eventi interattivi
(Beebe, Stern, 1977; Stern, 1985; Watson, 1985; Beebe, Lachmann,
1988a). Organizziamo modelli d'interazione ricorrenti in base al
tempo, allo spazio, agli affetti e ai livelli di attivazione (Beebe,
Lachmann, 2002) vissuti all'interno delle nostre esperienze
interattive. Questi modelli assumono un'influenza rilevante sullo
sviluppo delle nostre competenze comunicative, regolative,
interattive e, dunque, sull'organizzazione complessiva della nostra
esperienza interiore e del nostro comportamento (Sroufe, 1995, 2005;
Egeland et al., 2005; Schore, 2001a, 2001b).
La
capacità di creare aspettative degli eventi interattivi
(Beebe, Stern, 1977; Stern, 1985; Watson,
1985; Beebe, Lachmann, 1988a) consente di formarsi modelli interni di
interazione che organizzano l'esperienza psichica soggettiva (Stern,
1985, 1995, 2002; Sander, 2007) e che guidano le relazioni future (
Beebe, Lachmann, 2002; Riva Crugnola, 2007).
Le
relazioni che viviamo vengono organizzate mentalmente in mappe di
significato. Credenze, valori, emozioni, aspettative sorgono
dall'interiorizzazione delle nostre esperienze, o meglio da una
“ricostruzione attiva” delle stesse (Main, 1985), formando il
filtro attraverso cui osserviamo noi stessi e il mondo e la mappa
mediante cui ci muoviamo in esso. Le informazioni che giungono dalle
nostre esperienze vengono processate in parallelo, secondo
dimensioni, consapevoli ed inconsapevoli/implicite, inerenti
l'aspetto percettivo, senso-motorio, concettuale, temporale, emotivo
e narrativo delle stesse (Stern, 2002). L'elaborazione di ciò
che viviamo coinvolge aspetti temperamentali innati, le nostre
esperienze apprese, il nostro filtro in divenire che fin dalla
nascita abbiamo cominciato a costruire, sotto la forte influenza,
oltre che dei nostri geni, delle nostre relazioni e delle nostre
esperienze significative. Sono diversi i concetti utilizzati dai
diversi approcci psicologici per indicare questo fenomeno. L'enfasi
posta su certi aspetti piuttosto che su altri, pone delle differenze
che, tuttavia, non distolgono l'attenzione da ciò che,
convergentemente, sottolineano, sostenuti dall'evidenza di un'ampia
letteratura scientifica. (RIG) Rappresentazioni delle Interazioni
Generalizzate (Stern, 1995), (MOI) Modelli Operativi Interni (Bowlby,
1969), Copioni (Berne, 1964), Matrici di significato (Mitchell,
1988), Schemi Cognitivi (Riso et al., 2011), eccetera, sono costrutti
che si riferiscono alle rappresentazioni cognitive-emotive plasmate
dall'esperienza e organizzanti la nostra psiche.
Nella
prima infanzia, prima che sorga il linguaggio e la capacità di
simbolizzazione si formi, le rappresentazioni mentali saranno non
verbali, riguarderanno la processualità dell'interazione,
ossia il “fare e l'essere”, e i diversi aspetti dell'esperienza
fenomenica, coordinati e integrati in rappresentazioni complesse.
L'avvento del linguaggio aumenterà le complessità dei
modelli interattivi che acquisiranno, contingentemente alla
dimensione procedurale non verbale, una dimensione dichiarativa
esplicita.
Ogni RIG non è isomorfa a nessun evento interattivo reale, ma è, piuttosto, la
rappresentazione astratta
della media di esperienze simili e delle aspettative basate su di esse.
La ripetizione di eventi
interattivi simili, infatti, porta l'individuo a formarsi un episodio
generalizzato intermedio che viene rappresentato pre-simbolicamente e
simbolicamente. Stern ipotizza l’esistenza di tante RIG quanti
sono i tipi di relazioni sperimentate. Quando si sperimenta un certa
gamma di sensazioni vengono attivate le RIG corrispondenti a quelle
sensazioni (Stern, 1995, 2002).
Le
RIG, caratterizzate da fluidità e dinamicità, si
ampliano e integrano con le esperienze successive
in schemi interattivi di complessità sempre maggiore. Infatti,
nel ripetersi delle esperienze esterne gli elementi nuovi sono
integrati in schemi sempre più complessi e generalizzati.
Ogni sistema è in rapporto dinamico con gli altri e con questi
cresce e si organizza in modo sempre più complesso, partendo
dall'acquisizione di semplici schemi appresi, per passare poi a
schemi sempre più elaborati, complessi e integrati nella
continua relazione con l'esperienza vissuta (Stern, 2002).
Questa
possibilità di cambiamento è legata alla natura
“plastica” del cervello (Siegel, 2001; Mundo, 2009). Per tutta la
vita le esperienze che vivremo avranno la possibilità di
modificare non solo la funzionalità ma persino la struttura
del nostro cervello (ibidem). Alla possibilità di cambiamento,
tuttavia, si opporranno due ordini di fattori, legati entrambi al
livello di rigidità dei modelli rappresentazionali. In primo
luogo, l'organizzazione mentale acquisita porterà l'individuo
a dare maggior risalto ad alcuni aspetti dell'esperienza e meno ad
altri: la realtà, per quanto diversa, tenderà a essere
interpretata sempre in modi simili, congrui ai propri script interni.
In secondo luogo, i comportamenti attuati sotto la guida di
determinate aspettative tenderanno a provocare negli altri risposte
simili che confermeranno retroattivamente le aspettative stesse.
Esemplificativamente, se ci si aspetta che il mondo ci sia ostile, si
tenderà a comportarsi in maniere diffidente od ostile e
tendenzialmente si otterrà per risposta l'allontanamento o
l'ostilità altrui. Questo non potrà far altro che
confermare l'aspettativa per cui il mondo ci è ostile. Più
le nostre aspettative, consce e inconsce, sono rigide e meno aperte
all'esplorazione dell'esperienza, vale a dire alla dialettica tra
mondo intrapsichico e mondo interpersonale, più saremo schiavi
del nostro copione.
Questa
piccola e simpatica storiella, tratta da “Istruzioni per rendersi
infelici” di Paul Watzlawick (1983), renderà meglio l'idea:
<<Un uomo
vuole appendere un quadro. Ha il chiodo, ma non il martello.
Il vicino ne ha uno, così decide
di andare da lui e di farselo prestare.
A questo punto gli sorge un dubbio: E
se il mio vicino non me lo vuole prestare?
Già ieri mi ha salutato appena.
Forse aveva fretta, ma forse la fretta
era soltanto un pretesto ed egli ce l'ha con me.
E perché?
Io non gli ho fatto nulla, è lui
che si è messo in testa qualcosa.
Se qualcuno mi chiedesse un utensile,
io glielo darei subito.
E perché lui no?
Come si può rifiutare al
prossimo un così semplice piacere?
Gente così rovina l'esistenza
agli altri.
E per giunta s'immagina che io abbia
bisogno di lui solo perché possiede un martello.
Adesso basta!
E così si precipita di là,
suona, il vicino apre, e, prima ancora che questo abbia il tempo di
dirgli "buon giorno", gli grida:
"Si tenga pure il suo martello, villano!">>
"Si tenga pure il suo martello, villano!">>
Là
dove le nostre aspettative ed i nostri modelli, divenuti rigidi, nel corso della nostra vita, eclissano i nostri
bisogni e/o non ci permettono un soddisfacente adattamento con la
realtà, ecco che la salute mentale viene meno.
L'intervento
psicologico psicodinamico
L'intervento
psicologico, dove necessario in sinergia con quello farmacologico,
aiutando il soggetto ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé,
dei suoi schemi di significato e di comportamento problematici e
delle sue risorse, a sperimentare modelli relazionali più
efficaci, in un'ottica di valorizzazione delle proprie potenzialità,
permette un ripristino delle proprie capacità di scelta, un
aumento delle proprie possibilità di dare significato al mondo
e, conseguentemente, una modifica di quei pattern patologici su cui
si fonda la sofferenza psichica (Gabbard, 2005).
Il
recupero della plasticità verso uno sviluppo creativo, verso
la crescita della nostra unicità, verso l'apertura
all'infinitezza incerta dell'universo.
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