L'adolescenza
Da molto tempo ormai il
termine “adolescenza” fa parte dell'immaginario collettivo,
indicando inequivocabilmente quell'età della vita che fa da ponte
tra l'infanzia e l'età adulta.
Tuttavia, fino al
diciottesimo secolo l'adolescenza è stata spesso confusa con
l'infanzia, non delineando di fatto una fase specifica della vita. Il
passaggio dall'infanzia all'adultità, infatti, avveniva in maniera
rapida, e l'evento puberale costituiva lo snodo di un percorso
evolutivo dai contorni decisamente sfumati, specie per le classi
sociali medio-basse: basti pensare al precocissimo ingresso nel mondo
del lavoro dei bambini di famiglie contadine e artigiane.
La cultura ottocentesca,
dal Sigifrido di Wagner in poi, cominciò gradualmente a delineare
con più chiarezza l'età adolescenziale, sottolineandone gli aspetti
più prettamente legati allo sviluppo puberale, in un misto di
purezza, forza fisica, spontaneità e vitalità (Ariès, 1960). Ed è
proprio sui mutamenti biologici che fanno seguito all'evento puberale
che si fondarono i primi studi sull'adolescenza (Hall, 1904),
identificata come fase della vita specifica connotata da cambiamenti
fisici e psicologici peculiari, nei confronti della quale l'interesse
scientifico crebbe esponenzialmente dopo la seconda guerra mondiale
(Debesse, 1970).
Sebbene da questa breve
parabola storica si evinca abbastanza facilmente il peso
dell'influenza di variabili culturali nella determinazione del
“fenomeno adolescenza”, le concettualizzazioni degli autori
psicoanalitici (Freud S., 1905; Freud A., 1936; Blos, 1962; Meltzer,
1979), sulla linea degli studi di Hall (1904), ne sottolinearono la
determinazione biologica e/o psichica, negando la rilevanza dei
fattori storico-culturali.
Al contrario, nello
stesso periodo l'antropologia culturale mise in evidenza il forte
impatto che la società e la cultura hanno nel delineare la
fenomenologia dell'adolescenza: non esiste un solo tipo di
adolescente, ma tanti quante sono le società e le cornici culturali
in cui essi vivono. La ricerca etnografica portata avanti da Margaret
Mead (1928) attraverso il metodo dell'osservazione partecipante
evidenziò che, per i giovani di Samoa, l'adolescenza era un periodo
sostanzialmente sereno e privo del carattere turbolento
frequentemente riscontrato negli adolescenti americani dell'epoca.
L’autrice, confrontando il popolo di Samoa con la società
statunitense – in particolare su temi attinenti la religione, la
moralità e la sessualità – ipotizzò che i conflitti e le
inquietudini adolescenziali derivassero dall'eccessiva dipendenza tra
genitori e figli e dall’organizzazione restrittiva e autoritaria
della società e della famiglia americane (ibidem).
L'aporia natura-cultura
non può essere superata nella misura in cui la focalizzazione su
alcune caratteristiche dei fenomeni umani porti a negare, o a
trascurare, altri aspetti rilevanti della realtà che si vuole
studiare. Concepire l'adolescenza come un fenomeno determinato
culturalmente o viceversa come un evento universale strettamente
legato alla pubertà, non rende giustizia alla complessità
dell'essere umano e alla mole di ricerche che hanno sottolineato
l'influenza reciproca e continua fra l'individuo e il suo ambiente
relazionale e sociale (Lewin, 1935; Bronfenbrenner,
1992; Cicchetti, Cohen 1995). Lo sviluppo individuale,
infatti, può essere concettualizzato come frutto delle continue
transazioni tra la persona e gli aspetti prossimali e distali del suo
ambiente di sviluppo (Sameroff, Chandler, 1975).
Inoltre, la non
sovrapponibilità dell'adolescenza con l’universale fenomeno della
pubertà, che indubbiamente la influenza, rende ancor più difficile
una sua univoca interpretazione (Brusset, 1985). Tanto più che lo
stesso evento fisiologico puberale può presentarsi in età
differenti, con una variazione che può essere anche
considerevolmente ampia se vengono poste a confronto culture molto
diverse tra loro; Callari-Galli e collaboratori (1989) osservarono ad
esempio che nelle ragazze Bundi della Nuova Guinea il menarca compare
mediamente a 18 anni, 5 anni più tardi rispetto alle ragazze
europee.
Nonostante la mole di
linee interpretative anche molto diverse tra loro, una lettura
critica dei diversi approcci teorici, che ne tenga in considerazione
la cornice epistemologica e li ponga a confronto con i riscontri
delle ricerche empiriche, offre la possibilità di identificare
alcune caratteristiche peculiari dell'adolescenza, e di osservarne
gli aspetti critici e processuali, come gli aspetti di continuità e
discontinuità evolutiva, che i vari autori hanno di volta in volta
rilevato. Ciò permette di individuare alcuni compiti evolutivi
caratteristici di questa fase della vita, che trovano un riscontro
nelle teorie della motivazione più attuali (Liotti et al., 2017;
Lichtenberg,1989).
In ambito psicoanalitico,
Lichtenberg (ibidem) ha delineato 5 sistemi motivazionali
organizzati attorno a bisogni di base presenti fin dalla nascita,
ciascuno dei quali, in un ordine gerarchico mutevole, assume un peso
differente in base ai diversi momenti e alle diverse fasi della vita:
la regolazione psicologica delle richieste fisiologiche
dell'organismo; la ricerca di un legame di attaccamento e di legami
affiliativi; l'esplorazione e l'assertività; il bisogno di reagire
avversativamente mediante opposizione o evitamento; il piacere
sensuale e l'eccitazione sessuale.
I miti
sull'adolescenza
Da Hall in poi, la
visione dell'adolescenza come normale fase “turbolenta” della
vita ha preso piede sia nelle concettualizzazioni degli autori
psicoanalitici che se ne sono occupati (vedi ad es. Freud, 1957,
1966; Erikson, 1963, 1968; Kestemberg, 1962, 1980), sia
nell'immaginario collettivo, nonostante diverse ricerche abbiano
rilevato che solo una parte degli adolescenti vive questa particolare
fase della vita come una “crisi” (Rutter et al.,1976; Offer,
1987; Offer, Sabshin, 1990; Powers et al., 1989). Il fatto che gli
psicoanalisti abbiano basato le loro osservazioni in gran parte sugli
adolescenti con difficoltà psichiche che avevano occasione di
osservare in seno alla loro attività clinica potrebbe essere uno dei
motivi principali di tale distorsione (Offer, Schonert-Reichl, 1992).
Lo scarso dialogo con la ricerca e una certa dose di
autoreferenzialità potrebbero d'altro canto aver portato alla
persistenza di alcuni miti, per cui ancora l'adolescenza continua a
essere concepita come una fase “normalmente burrascosa”. Offer e
Schonert-Reichl (ibidem) ne mettono in evidenza cinque: il
primo mito vuole che lo sviluppo in adolescenza sia normalmente
tumultuoso, il secondo che questa fase della vita sia caratterizzata
da un incremento di emotività, il terzo vede la pubertà come un
evento negativo per l'adolescente, il quarto identifica l'adolescenza
come la fase della vita in cui il rischio suicidario è maggiore, il
quinto ritiene di tipo infantile il pensiero dell'adolescente.
Le ricerche hanno
dimostrato che la maggior parte degli adolescenti ha un equilibrio
adeguato, una positiva immagine di sé, relazioni positive con i
genitori e il gruppo dei pari, e non è necessariamente in
antagonismo con le figure adulte di riferimento (Offer, Offer, 1975;
Rutter et al., 1976; Offer et al., 1991): normalmente quindi lo
sviluppo dell'adolescente non è tumultuoso.
Inoltre, i tassi di
suicidio in adolescenza rilevati dagli studi epidemiologici non sono
stabili: presentano delle oscillazioni che sembrano più rapportabili
a fattori demografici e sociali (Offer, Schonert-Reichl, 1992).
D'altro canto, il periodo
principale di insorgenza di molti disturbi psichici è proprio
l'adolescenza (Paus et al. 2008): pur avendola sottratta all'alone di
“patologia” a cui a lungo era stata assoggettata, la ricerca ha
parimenti sottolineato la significativa vulnerabilità che scaturisce
dai profondi cambiamenti fisici, psichici e sociali a cui l'individuo
va incontro in questa fase della vita.
Corpo, sessualità e
trasformazione
Il più rapido sviluppo
generale dell'organismo, il raggiungimento della maturità
riproduttiva e lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari che la
pubertà comporta segnano il passaggio dall'infanzia alla prima
adolescenza (Blos, 1962; Miller, 1963). In questa fase, tra gli 11 e
i 14 anni, l'individuo si confronta con cambiamenti corporei molto
rapidi che necessitano di essere elaborati a livello psichico, in un
processo affatto semplice che si protrarrà anche nelle fasi
successive dell'adolescenza. È proprio la pubertà il punto di
partenza degli studi psicoanalitici sull'adolescenza (Freud, 1905).
Freud
Per Freud (ibidem),
la pubertà identifica il momento in cui lo sviluppo sessuale
individuale raggiunge la sua maturazione definitiva.
La mente, come
concettualizzata da Freud (1895, 1900, 1915), è un “apparato
idraulico”, un sistema che “preme alla scarica” e che ha come
scopo sovraordinato quello di mantenersi quanto più possibile esente
da stimoli, di raggiungere il piacere – rifuggendo dallo spiacevole
accumulo di tensioni – attraverso la scarica pulsionale (Freud,
1911). In questa concezione, l'ambiente ha un ruolo marginale e
l'intera organizzazione psichica dipende dall'equilibrio delle
pulsioni: sono le pulsioni a motivare il comportamento. Esse
costituiscono i rappresentanti psichici degli stimoli corporei che
pervengono alla psiche (Freud, 1915). Originano dalle modificazioni
fisiologiche che, portando a un aumento quantitativo
dell'eccitazione, provocano stimolazioni che a livello mentale
vengono rappresentate come moti di desiderio che premono per il loro
soddisfacimento, pulsioni in cerca di vie di scarica. Ad esempio, la
secchezza delle fauci (spiacevole) produce una tensione interna che
elicita comportamenti volti alla ricerca di acqua per dissetarsi
(piacere) e ripristinare l'equilibrio (idro-elettrolitico) basale.
Per Freud (1905, 1905),
le pulsioni “sessuali” o “libidiche” sono gli organizzatori
principali della vita psichica individuale. La “sessualità”
freudiana identifica una particolare qualità di piacere, una
peculiare qualità di eccitazione (erogena) che differisce da quella
somatica e che è presente fin dalla nascita. Il bambino freudiano
(1905) è un "perverso polimorfo": ricerca il piacere
“sessuale” senza alcuna finalità riproduttiva, attraverso zone
erogene (mete) che, acquisendo il primato in diverse epoche
dell'ontogenesi individuale, segnano le fasi dello sviluppo
psicosessuale: orale (0 – 18 mesi), anale (18 mesi – 3 anni),
fallica (3 – 6 anni), latenza (6 anni – pubertà).
L'ultima tappa dello
sviluppo psicosessuale (genitale), che coincide appunto con la
pubertà, vede le diverse zone erogene assoggettarsi al primato della
zona genitale: in un individuo sano, la sessualità trova la sua
organizzazione matura e acquisisce una finalità procreativa prima
assente; il ritrovamento di oggetti esterni per raggiungere il
soddisfacimento assume un'importanza di gran lunga superiore
all'appagamento autoerotico, e, in un superamento definitivo del
“complesso edipico”, sorge una ricerca di nuovi oggetti sessuali
al di fuori dalla famiglia. È evidente come l'approccio freudiano
riduca il significato dell’adolescenza al raggiungimento della
sessualità adulta centrata sulla genitalità, e fondi le sue
concettualizzazioni sulla “teoria della libido” che poco tiene
conto dei profondi mutamenti che interessano l'età adolescenziale e
di cui autori successivi si sono occupati.
Anna Freud
Per Anna Freud (1936,
1957, 1958, 1966), l'adolescenza è un “disturbo evolutivo”.
Sviluppando le concettualizzazioni del padre, Anna Freud ha
sottolineato come in adolescenza si ricapitoli lo sviluppo
psicosessuale infantile: le fantasie, le credenze e le
interiorizzazioni a esso legate si riorganizzano in un nuovo assetto
psichico che deve in primo luogo fronteggiare l'incremento della
libido caratteristico della pubertà e le conseguenze che ne
derivano. Lo sviluppo psichico procede su un duplice binario: il
passato psichico dell'infanzia continua a dominare l'inconscio
dell'adolescente e dell'adulto, ma la progressione da una fase
sessuale all'altra richiede una riorganizzazione sostanziale
dell'assetto psichico dell'individuo.
L'adolescente è
impegnato in una lotta emotiva, nello sforzo di controllare la forza
emergente delle sue pulsioni genitali e di tenere a bada la
regressioni verso le pulsioni pregenitali (A. Freud, 1936, 1957). La
ricapitolazione dello sviluppo psichico infantile, infatti, porta
l'adolescente a confrontarsi nuovamente con il complesso edipico –
che viene vissuto come più minaccioso a causa dell'incremento delle
tensioni sessuali che ora investono prioritariamente l'area genitale,
rendendo più probabile l'eventualità dell'incesto –, il cui
superamento richiede il ritiro della libido dagli oggetti infantili
(con l'inevitabile lutto da elaborare) e il rivolgimento della stessa
verso nuovi oggetti. Tutto ciò comporta un tumulto inevitabile: l'Io
e il Super-Io sono costretti a mettere in discussione il loro
equilibrio passato per far fronte alle pressioni del “corpo
ribelle” (A. Freud, 1936). La loro organizzazione deve alterarsi
abbastanza da accogliere le nuove mature forme di sessualità; in
caso contrario, un Io rigido o immaturo potrebbe inibire o farsi
sovrastare dagli impulsi dell'Es, o venire da essi deformato (A.
Freud, 1957). In questa prospettiva, l'instabilità e la
disorganizzazione è comunque la norma, e l'adolescenza è soggetta a
un turmoil inevitabile che interrompe una crescita pacifica e che
può condurre, in base al nuovo equilibrio che la psiche riesce a
raggiungere, a una salute mentale soddisfacente o alla psicopatologia
(A. Freud, 1966).
Secondo questa
prospettiva, l'intervento psicoanalitico ha limitate possibilità
perché, a causa della lotta emozionale in cui l'adolescente è
impegnato, la quota di libido che può essere trasferita
sull'analista è fortemente ridotta (A. Freud, 1957).
I
coniugi Laufer
La linea di pensiero di
Anna Freud viene portata avanti dal contributo di Moses ed Eglé
Laufer (1984), che la sviluppano sottolineando come le trasformazioni
puberali incidano sulla rappresentazione di sé. Le rapide
trasformazioni corporee che accompagnano la definitiva maturazione
sessuale richiedono una profonda elaborazione a livello mentale che
ha lo scopo primario di padroneggiare l'eccitazione e la dimensione
somatica che, in un misto di attrazione e paura, l'adolescente sente
sfuggire al suo controllo: la masturbazione è un procedimento atto a
tale scopo. I genitali maturi e i caratteri sessuali secondari devono
essere integrati in una nuova rappresentazione del corpo, così come
le fantasie, i desideri sessuali e le identificazioni edipiche
necessitano di essere integrati in una nuova matura organizzazione
che si ponga come formazione di compromesso tra ciò che si desidera
e ciò che è lecito, all'interno di un’identità sessuale divenuta
irreversibile.
Le fantasie infantili di
fusione con il corpo della madre e l'idea di trovare nella madre
l'appagamento dei propri bisogni libici con la pubertà devono essere
progressivamente abbandonate, al fine di consentire il definitivo
superamento del complesso edipico. La masturbazione che durante
l'infanzia aveva lo scopo di ripristinare in fantasia la rassicurante
unità idealizzata madre-bambino, in adolescenza può aumentare
l'angoscia e la paura della passività: la “fantasia masturbatoria
centrale” – che oltre le spinte pulsionali pre-genitali dirette
verso il corpo della madre, comprende le principali identificazioni
sessuali e la definizione del nucleo dell'immagine corporea – deve
essere integrata nel contesto della genitalità. Ciò comporta
l'urgenza di vivere tale fantasia nel contesto delle relazioni
oggettuali extra-familiari e nelle proprie esperienze sessuali.
Infatti, l'incremento delle spinte pulsionali rende molto più
difficoltosa la gestione della fantasie a esse legate a livello
intrapsichico: da qui la forte tendenza dell'adolescente a
esteriorizzare i conflitti.
Per procedere
regolarmente verso l'età adulta, l'adolescente deve integrare le
proprie fantasie masturbatorie e le trasformazioni del proprio corpo
in un'immagine integrata di sé. Questo processo può essere
ostacolato se i soddisfacimenti regressivi riattivati dalle fantasie
masturbatorie non vengono subordinati e integrati all'interno
dell'organizzazione sessuale definitiva. Alcuni episodi psicotici
transitori possono rappresentare in adolescenza la soluzione estrema
che l'Io mette in atto per integrare la fantasia masturbatoria
centrale nel contesto della genitalità. Il rifiuto inconscio della
maturazione sessuale può portare a un “break-down” evolutivo,
che i Laufer (1984) pongono come base eziologica dei disturbi
psicopatologici che insorgono nella prima età adulta.
L'arresto di questo
processo di integrazione può portare l'adolescente a sviluppare una
visione distorta, carica di odio e di vergogna, del proprio corpo e
del rapporto con esso. In alternativa, può formarsi uno
«pseudoideale dell’Io» (Laufer, Laufer, 1984): un conformismo
adattivo di superficie nel quale, tuttavia, i legami con gli oggetti
edipici vengono lasciati intatti. Può anche capitare che
l'adolescente vulnerabile cerchi di usare come ideale dell'io un
oggetto fantasticato che, in un anelito ascetico, controlla il corpo
sessualmente maturo. I Laufer considerano più gravi i break-down
evolutivi che si verificano durante la pubertà. Break-down evolutivi
che si verificano nella tarda adolescenza hanno maggiore probabilità
di essere mitigati da un’organizzazione difensiva che consente
all’adolescente di trovare risposte alternative ai desideri
incestuosi che, in caso contrario, verrebbero proiettati all'esterno,
compromettendo l'esame di realtà e dando luogo ad agiti
autolesionistici, condotte tossicomaniche o improvvisi esordi
psicopatologici: disperati tentativi di integrare in qualche modo il
corpo sessuato maturo nell’immagine di sé.
Nella prospettiva dei
Laufer, un intervento psicoanalitico è possibile se adattato alle
caratteristiche di questa età, in una forma intensiva di trattamento
mirato a favorire i processi d'integrazione rimasti bloccati.
La prospettiva
evolutiva
Pur assumendo un peso
specifico diverso all'interno delle diverse concettualizzazioni
teoriche che sono state formulate sulla psicologia dell'adolescenza,
la pubertà, i cambiamenti a essa associati e la dimensione sessuale,
hanno costituito uno dei principali trait d'union tra le diverse
modellizzazioni dello sviluppo adolescenziale. I cambiamenti fisici e
la maturazione sessuale sono considerati in maniera unanime una delle
caratteristiche centrali dell'adolescenza. Tutti gli autori che si
sono occupati di adolescenza, seppur partendo da prospettive teoriche
diverse e mettendo in luce aspetti anche molto eterogenei tra loro,
sottolineano il lavoro che l'adolescente si trova a dover compiere
per elaborare mentalmente i profondi cambiamenti da cui è
interessato.
Durante la prima
adolescenza, la maggior concentrazione verso il proprio corpo e le
proprie sensazioni è a servizio di uno dei primi compiti evolutivi
che il giovane deve assolvere. Esso consiste nell'integrare le
trasformazioni fisiche e sessuali puberali in modelli
rappresentazionali nuovi che portano a una sostanziale modifica
della percezione di sé e degli altri (Brooks-Gunn, Petersen &
Eichorn, 1985; Paikoff & Brooks-Gunn, 1991). Le modifiche che
l'adolescente apporta al proprio corpo e alla propria immagine
(scelta di un certo tipo di vestiario, piercing, tatuaggi,
allenamento fisico, ecc.) costituiscono dei modi con cui egli cerca
di scoprire e padroneggiare il proprio corpo, ricercare
l'accettazione e la desiderabilità dei pari e comunicare agli adulti
la propria autonomia e/o la propria sofferenza (Charmet, Macazzan,
2000). L’aumento di testosterone e adrenalina, secondo alcuni
autori (Kenrick, Griskevicius, 2013), porta l'adolescente a mettersi
in mostra e ad assumere comportamenti rischiosi, al fine di destare
l'attrazione dei membri del sesso opposto.
Se le impostazioni
teoriche più moderne continuano a dare molta importanza alla
componente sessuale nello sviluppo dell'adolescente, allo stesso
tempo sottolineano l'importanza di non trascurare altri sistemi
motivazionali fondamentali che in quest'epoca della vita necessitano
di essere riorganizzati in virtù delle nuove esigenze psicofisiche e
delle richieste dell'ambiente. In questo contesto, la motivazione
sensuale-sessuale (Lichtenberg, 1989) può sovrastare altre
motivazioni o essere da esse facilmente incorporata. I cambiamenti
ormonali spingono l'adolescente a cercare sempre di più la compagnia
di un pari – dell'altro sesso, per l'adolescente eterosessuale –
nei confronti dei quali generalmente si attivano i sistemi
motivazionali di attaccamento e di accudimento, oltre che quello
sessuale (Ainsworth, 1991).
Gli strumenti per
esplorare
Anna Freud
Anna Freud (1936, 1957)
ha sottolineato come, a fianco ai turbamenti che riteneva tipici
dell'età adolescenziale, questa età della vita fosse interessata
dall'acquisizione di più complesse capacità logico-formali.
Tuttavia, nella concettualizzazione dell'autrice la dimensione del
pensiero assume il compito prioritario di fronteggiare l'incremento
di tensione innescato dai cambiamenti puberali, tenendo a bada gli
impulsi e distanziandosi dai legami oggettuali infantili:
l'intellettualizzazione diviene una delle forme di difesa
caratteristiche di questa fase della vita, in cui emozioni e pulsioni
vengono controllate al livello del pensiero; da ciò può derivare
l'iperinvestimento in attività intellettuali, la propensione a
interessarsi a questioni filosofiche o esistenziali, o l'adesione
acritica a ideologie estreme.
Meltzer
Negli sviluppi
psicoanalitici kleiniani e post-kleiniani le dinamiche inerenti la
sessualità perdono la loro centralità a favore di un conflitto
(“epistemofilico”) centrato sulla “conoscenza”. È la fame di
conoscenza che, sorretta dallo sviluppo cognitivo che interessa
questa fase evolutiva, porta l'adolescente a riorganizzare in maniera
considerevole il suo mondo psichico e conseguentemente le sue
relazioni con l'ambiente circostante. In linea con le
concettualizzazioni kleiniane, Meltzer (1979) ritiene che
l'adolescente si opponga agli adulti per accedere a quella conoscenza
che ritiene essi vogliano mantenergli nascosta, il grande segreto “di
fare i bambini” che fino all'età di latenza era stato considerata
a completo appannaggio dei genitori, considerati onnipotenti e
onniscienti. Il crollo dell'onniscienza e dell'onnipotenza
genitoriale, speculare al crollo dell'onnipotenza e della conoscenza
magica infantili, fa emergere un profondo stato di incertezza e
confusione che dà vita a una profonda crisi d'identità. La
confusione tra gli opposti (ad es. buono/cattivo, adulto/bambino,
maschile/femminile), sommersa fino ad allora dall'onnipotenza
infantile e dalla convinzione dell'onniscienza genitoriale, emerge
con l'avvento della pubertà (Meltzer, 1973). La sessualità, in
questo modello, è solo uno dei modi con cui l'adolescente può
cercare di fronteggiare lo stress derivato da questo nuovo emergente
stato di confusione.
L'identità familiare
viene persa e con essa anche la propria identità va in crisi.
L'adolescente si ritrova di fronte a un bivio inconscio nei confronti
del quale è chiamato a fare una scelta (Meltzer, 1979): se i miei
genitori non sono onnipotenti e onniscienti come pensavo, mi sono
generato da solo o i miei genitori sono da qualche altra parte (ad
es. Dio, una squadra di calcio)?
Questa domanda tradisce
una difficoltà ad abbandonare l'onnipotenza infantile, l'idea che
sotto questo cielo non possa esistere nulla di non conosciuto: la
negazione dell'ignoto che fa paura. I tentativi di risolvere questa
dinamica di fondo sono situati tra due estremi che portano il giovane
a identificarsi con la comunità degli adolescenti o a considerarsi
un individuo isolato, speciale e unico. Al contempo, l'adolescente è
spinto a ricercare la propria strada nel mondo degli adulti, fatto di
indipendenza e di potere, ma non è immune al fascino nostalgico del
proprio passato infantile in cui, almeno in fantasia, poteva
fregiarsi della protezione di adulti che sapevano tutto e potevano
fare tutto.
Meltzer ritiene che
l'adolescente oscilli continuamente tra questi quattro posizioni
(comunità degli adolescenti, comunità dei bambini/della famiglia,
comunità degli adulti, adolescente isolato) nel tentativo di
superare la confusione e la disillusione, e di trovare la propria
identità. È proprio questa fluttuazione continua tra le diverse
comunità, che configurano specifici, isolati, eterogenei e mutevoli
stati della mente, a complicare il lavoro psicoanalitico con gli
adolescenti.
Questo stato comporta una
“normale sofferenza mentale” che va tollerata in attesa che la
confusione si chiarisca, permettendo ai diversi stati mentali
sperimentati in maniera oscillatoria di venire integrati e
subordinati all'organizzazione mentale matura dell'età adulta.
In questo processo,
l'adolescente si sperimenta in un'oscillazione che investe realtà e
fantasia, azione e pensiero, egoismo e altruismo. Si lancia in avanti
per mezzo della sessualità, delle prestazioni scolastiche o di
guadagni economici, e indietro per mezzo della fantasia,
dell'interesse per l'arte, la letteratura o la filosofia:
investimenti parziali che devono essere debitamente integrati per
raggiungere un soddisfacente equilibrio in età adulta. In questo
processo, il gruppo dei coetanei assume un ruolo fondamentale, in
quanto costituisce il contesto in cui l'adolescente riesce a
cristallizzare le continue oscillazioni, senza l'interferenza dei
genitori e mantenendo una certa quota di flessibilità. Il passaggio
dal gruppo puberale, omosessuale, al gruppo adolescenziale
(eterosessuale) è inoltre importante per superare la posizione
schizoparanoide che interessa il primo gruppo, in cui la sofferenza
mentale è proiettata sui membri dell'altro sesso, e passare a una
posizione depressiva in cui diviene possibile sperimentare la
sofferenza e procedere verso uno sviluppo potenzialmente positivo
(Meltzer, Harris, 1983).
La negazione della
sofferenza, al contrario, può portare a un'idealizzazione della
confusione all'interno della comunità degli adolescenti, o a una
negazione della confusione che può passare per un prematuro ingresso
stabile nella comunità degli adulti (ricerca sfrenata del successo e
di uno status sociale), per un ritorno nel rassicurante contesto
familiare in cui i genitori possono continuare a essere idealizzati o
per un isolamento melagomanico e onnipotente (in cui il crollo di una
potente idealizzazione dei genitori non riesce a essere sostituita
con un rivolgimento concreto verso la vita relazionale e affettiva)
(Meltzer, 1979).
L'intelligenza
adolescente
Piaget
Piaget (Piaget, Inhelder,
1955) fu uno dei primi autori a mettere in luce le più evolute
capacità cognitive dell'adolescente in seno a un modello di sviluppo
che trascende gli aspetti conflittuali considerati centrali dagli
autori psicoanalitici. Secondo Piaget, in adolescenza si raggiunge il
culmine dello sviluppo cognitivo: tra gli 11 e i 15 anni, il pensiero
giunge al suo “stato operatorio formale” (“pensiero astratto”).
Se il pensiero infantile è strettamente legato alla percezione e la
concretezza degli oggetti e orientato alla realtà quotidiana,
l'adolescente gradualmente diviene capace di riflettere su di sé e
sul proprio pensiero, e di abbandonare il carattere monolitico e
assolutistico delle concezioni infantili a favore di un relativismo
che gli consente di considerare la soggettività di ogni punto di
vista e di formulare ipotesi, che ormai sa di dover verificare, sulla
realtà che lo circonda.
Fonagy
Fonagy (Fonagy, Target,
2000, 2001, 2002) sviluppa le concezioni piagetiane sulla comparsa
del pensiero astratto in adolescenza, facendo riferimento al
considerevole incremento delle capacità di mentalizzazione che
interessano questa fase della vita. La mentalizzazione si riferisce
alla capacità di comprendere il comportamento proprio e altrui in
termini di stati mentali, ossia in termini di pensieri, emozioni e
desideri che delineano la soggettività individuale. Lo sviluppo
delle capacità di mentalizzazione è reso possibile da relazioni con
persone che, fin dalla prima infanzia, risultano in grado di fornire
al bambino sufficiente amore e riflessività. La capacità dei
caregiver di fornire una comprensione e un rispecchiamento sensibili,
e una risposta adeguata ai suoi diversi stati mentali, facilita nel
bambino lo sviluppo della capacità di comprendere in modo accurato
se stesso e il suo mondo interpersonale, e di regolare i propri stati
emotivi. Sono evidenti le somiglianze con la “funzione alfa”
concettualizzata da Bion (1963): uno dei punti di partenza delle
teorizzazioni e degli studi di Fonagy.
A differenza di Piaget
che aveva dato poco rilievo ai fattori contestuali e relazionali,
Fonagy (Fonagy, Target, 2002) sottolinea come la spinta alla
comprensione interpersonale, notevolmente intensificata durante l'età
adolescenziale, costituisca per il giovane una competenza nuova che
va esercitata e che necessita di incontrare un ambiente familiare che
la supporti e la faciliti. Ovviamente, adolescenti i cui caregiver
non abbiano assolto adeguatamente in precedenza la loro funzione di
rispecchiamento, possono vivere in modo traumatico lo sviluppo delle
capacità di mentalizzazione.
In ogni caso, l'aumento
dell'interesse alla comprensione interpersonale produce dei
cambiamenti rilevanti nei modi in cui l'adolescente si rapporta al
suo contesto familiare e interpersonale. La capacità di riconoscere
la soggettività del pensiero altrui gli consente di immedesimarsi in
prospettive diverse e di distinguere tra il proprio punto di vista e
quello degli altri; ciò lo porta, parimenti, a sviluppare un nuovo
senso di egocentrismo: una propensione a ritenere centrale la propria
prospettiva al fine di sperimentare le proprie capacità di
ragionamento, specialmente nella sua relazione con gli altri. In
questo contesto, è fondamentale che la famiglia si renda disponibile
a sintonizzarsi con i cambiamenti del figlio o della figlia
adolescente, a rinegoziare gli aspetti qualitativi e quantitativi
della loro relazione. Le discussioni familiari costituiscono la
palestra in cui l'adolescente può apprendere a gestire e risolvere
le divergenze di opinioni, preservando sia la propria autonomia sia
la relazione con i genitori: ciò è quanto avviene in famiglie in
cui la qualità del rapporto e del dialogo è positiva (genitori e
figli con attaccamento sicuro); in situazioni meno positive (genitori
e figli con attaccamento insicuro), invece, le discussioni o la
risoluzione dei problemi vengono evitate, o, al contrario, i rapporti
divengono eccessivamente conflittuali, connotati da disimpegno o da
una rabbia disfunzionale.
Il cervello
adolescente
L'importanza, durante
l'adolescenza, della presenza di figure adulte disponibili ma non
intrusive, autorevoli ma non autoritarie, valorizzanti ma non
lassiste, sembra essere avvalorata anche dai riscontri delle
neuroscienze sul “cervello adolescenziale”.
Lo sviluppo cerebrale in
adolescenza non procede in maniera omogenea. Il volume dell'attività
del nucleus accumbens – parte dello striato ventrale (Nuclei della
base) sede dei circuiti Cortico-Striato-Talamici del sistema limbico
(l'area del cervello responsabile dell'origine delle emozioni) –
degli adolescenti è simile a quello degli adulti, mentre la loro
attività prefrontale – l'area “razionale” del cervello,
implicata, tra le altre cose, nella modulazione delle emozioni – è
più simile a quella dei bambini (Galvan et al., 2006). La
maturazione della corteccia prefrontale si conclude intorno ai 25
anni. Ciò spiegherebbe la maggior tendenza degli adolescenti,
rispetto agli adulti, a essere impulsivi e a mettere in atto
comportamenti a rischio. Tuttavia dati di ricerca hanno dimostrato
che la labilità dell'umore e l'incremento dell'emotività non sono
maggiori in adolescenza rispetto ad altre fasi della vita (Larson,
Lampman-Petraitis, 1989; Elliott, Feldman, 1990): potrebbe essere
ragionevole ipotizzare che, nella maggior parte dei casi, le
accresciute capacità cognitive dell'adolescente e la presenza di
rapporti positivi con i familiari e con i pari riescano a modulare
efficacemente il fisiologico squilibrio cortico-limbico che si
verifica in adolescenza.
Esplorare
Le crescenti capacità
cognitive dell'adolescente si pongono al servizio del sistema
motivazionale esplorativo che, in questa nuova fase della vita, si
rivolge a più ampi percorsi di conoscenza (Lichtenberg, 1989), nel
corso di un processo di scoperta, di per sé piacevole (Buner, 1962),
in cui l'individuo acquisisce una maggiore padronanza del proprio
mondo interpersonale e intrapsichico, mentre comincia a procedere
verso la definizione della propria identità adulta e della propria
progettualità futura.
Il lutto dell'infanzia
Il vero viaggio di
scoperta non consiste nell'esplorare nuove terre ma nel guardare con
nuovi occhi, scriveva Proust. Nelle nuove terre dell'adolescenza, lo
sguardo nuovo che si viene a formare costituisce contemporaneamente
il frutto di questo processo di esplorazione e la prospettiva da cui
l'esplorazione stessa viene condotta. L'abbandono definitivo delle
valli dell'infanzia, al di là di quanto possano essere state più o
meno rassicuranti, lascia un ricordo in cui gli aspetti
incompatibili, fisici e non solo, con i cambiamenti sopraggiunti e le
nuove esigenze devono essere definitivamente riposti nella propria
storia; mentre la curiosità, la vitalità e la bramosia
dell'infanzia devono essere integrate in una configurazione più
articolata che tenga conto delle motivazioni che con forza spingono
l'adolescente a gettare il suo sguardo verso il futuro.
Anna Freud
Anna Freud (1957) aveva
dato una lettura di questo processo inquadrandola nel contesto della
teoria pulsionale per cui il disinvestimento dai legami oggettuali
infantili è la condizione imprescindibile per il definitivo
superamento del complesso edipico: l'adolescente deve abbandonare la
bramosia nei confronti del suo oggetto sessuale primario (madre –
padre) per rivolgere i suoi investimenti, ora organizzati nella
cornice della più matura sessualità genitale, verso oggetti esterni
alla famiglia. Questo progressivo disinvestimento viene considerato
un vero e proprio lutto (Freud, 1917): la perdita degli oggetti
sessuali infantili e la rinuncia al predominio delle mire sessuali
pre-genitali caratteristiche dell'infanzia, richiedono di essere
elaborate in un processo che, come ogni lutto, non è esente da
movimenti regressivi in cui i diversi aspetti degli oggetti a cui la
libido era legata vengono soprainvestiti, prima che un definitivo
distacco avvenga.
In questo processo, Anna
Freud (1957) sottolinea come l'Io possa mobilitare diverse difese
contro i legami oggettuali infantili: la libido può essere
rapidamente trasferita dai genitori a figure esterne alla famiglia, e
ciò può portare l'adolescente a crearsi degli idoli, a partecipare
a bande giovanili e a formare legami appassionati con i pari (difesa
per spostamento della libido); l'amore verso i propri genitori può
trasformarsi in odio, la dipendenza in ribellione, il rispetto e
l'ammirazione in disprezzo e derisione, e ciò può portare ad
attribuire il ruolo di persecutori ai genitori o ad altre figure
adulte significative della vita dell'adolescente, in un processo di
proiezione della propria aggressività, oppure a incorrere in stati
depressivi, vissuti autosvalutativi, atti autolesionistici o tentati
suicidi, in un rivolgimento della rabbia contro di sé (difesa
mediante inversione dell’affetto); vi può essere un ritiro
narcisistico, in cui l'Io viene sovrainvestito a danni del mondo
esterno, e l'adolescente può restare ingabbiato in fantasie di
potere e di grandezza megalomaniche (difesa mediante ritiro della
libido verso di sé); infine, qualora il distacco dalle figure
genitoriali risulti essere troppo angoscioso per l'adolescente, l'Io
può giungere a identificarsi con gli oggetti primari, con un
conseguente cambiamento regressivo in tutte le parti della
personalità, una sostanziale diminuzione dell'esame di realtà e dei
propri confini personali (difesa mediante regressione).
È da notare come nella
descrizione delle difese che l'adolescente può mettere in atto nei
confronti dei legami oggettuali primari, Anna Freud si basi,
sviluppandole, su alcune idee espresse dal padre in “Lutto e
Melanconia” (Freud, 1917). Qui Freud poneva alla base dei fenomeni
depressivi e di lutto patologico una scissione dell'Io per cui a una
perdita oggettuale relativa a un rapporto improntato su basi
narcisistiche e connotato da una forte ambivalenza emozionale, segue
una regressione in cui una parte dell'Io si identifica con l'oggetto
perduto incorporato e su di essa viene diretta l'aggressività
inizialmente rivolta verso l'oggetto.
Nella descrizione delle
difese che l'Io adolescente è solito mettere in atto per far fronte
ai cambiamenti puberali, Anna Freud (1957) differenzia le difese
contro i legami oggettuali primari dalle difese contro gli impulsi,
annoverando tra queste ultime, oltre all'intellettualizzazione e alla
testardaggine, l'ascetismo, in cui il controllo dei cambiamenti
corporei viene portato allo stremo, in una guerra ai bisogni
fisiologici che può portare a un rigido controllo della
masturbazione, dell'alimentazione e dell'attività fisica.
La presenza di queste
difese non è da considerarsi patologica di per sé: esse, infatti,
come in ogni epoca della vita, devono essere valutate in base alla
loro intensità, adeguatezza rispetto all'età, reversibilità e
flessibilità (Sandler, 1990).
Winnicott
Tra gli autori che si
sono occupati di descrivere il lutto che l'adolescente si trova a
dover elaborare, Winnicott (1971, 1973) ha sottolineato la crisi
depressiva legata al distacco dagli oggetti primari, unitamente allo
“stato di bonaccia” (sentimenti di futilità e mancata
definizione della propria soggettività) che interessa il processo di
acquisizione di un senso di sé e al particolare “isolamento” che
caratterizza questa fase della vita. Per Winnicott, l'adolescenza è
un periodo più “depressivo” che “esplosivo”: pur prendendo
in considerazione la dimensione pulsionale ed edipica, sembra
collocarla più sullo sfondo di un processo in cui assume un ruolo di
primo piano la relazione tra i compiti evolutivi dell'adolescente e
la risposta che il suo ambiente di sostegno è in grado di fornire a
questi ultimi; ne risulta un capovolgimento di prospettiva in cui le
difficoltà che gli adolescenti possono incontrare dipendono da
“insufficienze ambientali”, familiari, relazionali, sociali e
istituzionali, più che da un fisiologico “turmoil” evolutivo.
Ciò che viene sottolineato è la separazione dai genitori e le
vicissitudini depressive che la riguardano.
L'adolescente si trova a
dover affrontare nuovamente il superamento della sua condizione di
“controllo onnipotente”: come il bambino, necessita di transitare
dalla “realtà oggettiva”, costituita dalla sicurezza delle
relazioni familiari infantili, a una “realtà soggettiva”, in cui
l'incontro con “oggetti oggettivi”, i cui bisogni sono diversi
dai propri e le cui reazioni sono indipendenti dalla propria
soggettività (Winnicott, 1968). In questa prospettiva, la rabbia
provocata dall'inevitabile disillusione scaturita dal constatare,
ormai in maniera inequivocabile, che i propri bisogni e le proprie
esigenze possano scontrarsi con la mancata comprensione degli adulti,
diviene un mezzo per “creare” la realtà e, specularmente, la
propria “soggettività”: se “l'oggetto” non sparisce e non
attua ritorsioni, l'adolescente può costituirsi come individuo
distinto capace di relazioni con oggetti esterni al di fuori del suo
controllo.
Sotto un'altra
prospettiva, potremmo vedere il processo descritto da Winnicott come
il superamento dello “psichismo infantile” (caratterizzato dal
pensiero magico, dall'egocentrismo, dall'onnipotenza, dall'autorità
espistemica che ricoprono le figure genitoriali,
dall'ipergeneralizzazione e dalla limitata comprensione delle
relazioni casuali), favorito dall'accrescimento delle capacità
cognitive che si verifica in adolescenza e dipendente dalla “bontà”
di un ambiente “non traumatizzante” in grado di accogliere i
bisogni evolutivi dell'individuo (Gazzillo, 2016).
Secondo Winnicott (1971,
1973), il processo di transizione che porta l'adolescente a
“ripudiare” la realtà esterna e a costituirsi come individuo
distinto è accompagnato da atteggiamenti provocatori e di insolente
indipendenza regressiva, che possono alternarsi rapidamente e talora
coesistere, e un forte senso di isolamento. L'adolescente ha bisogno
di evitare false soluzioni e falsi compromessi, di evitare di
definire se stesso e la propria progettualità prima di costituirsi
come individuo distinto che esplora l'ambiente nella sua
“oggettività” (cioè oltre l'influsso genitoriale),
sperimentando sentimenti di unicità, e quindi di “realtà”, e
sopportando i momenti in cui non riesce a sentirsi “reale”: cioè
quei momenti in cui la crisi depressiva relativa al distacco dalle
figure genitoriali non è ancora proceduta a tal punto da
consentirgli di definire il proprio Sé. I sentimenti di “realtà”
passano anche per espressioni di aggressività e agiti che assolvono
a una funzione di temporanea integrazione e autoaffermazione.
In questo processo,
l'adolescente necessita di un ambiente che tolleri e accolga le sue
mutevoli esigenze, le espressioni di sé e le sue incertezze,
rispondendo contingentemente ai suoi bisogni di dipendenza ancora
attivi.
Questa naturale crisi
adolescenziale è caratterizzata da un forte senso di isolamento:
l'adolescente winnicottiano è un individuo isolato che ricerca
l'aggregazione mediante l'adozione di gusti comuni, e il gruppo
adolescenziale rappresenta unicamente “un aggregato di isolati”
(Winnicott, 1971), a meno che non venga attaccato come gruppo e
quindi si strutturi in un'organizzazione paranoide reattiva. Il
gruppo costituisce il luogo delle identificazioni di prova per gli
adolescenti ed è per questo un contesto in cui individui che abbiano
sviluppato vulnerabilità a causa di un insufficiente sostegno
ambientale possono dare corpo alla loro sintomatologia potenziale,
specialmente per quanto riguarda le tendenze antisociali. Infatti, la
presenza di adolescenti depressi o antisociali all'interno di un
gruppo, può portare quest'ultimo a strutturarsi in conformità a
tali posizioni estreme. Gli agiti tipicamente adolescenziali (lotta,
furti, fughe, ecc.) e le incursioni sperimentali nel mondo degli
adulti (sedersi in un circolo a bere o ad ascoltare musica) fanno
parte delle dinamiche adolescenziali che naturalmente evolvono verso
un affievolimento della protesta in essi insita, a meno che membri
particolarmente turbati del gruppo non strutturino l'organizzazione
di quest'ultimo.
La conquista
dell'autonomia
Il lutto adolescenziale
per la perdita del proprio corpo e delle proprie relazioni infantili
è strettamente legato ai moti di individuazione e di
autonomizzazione particolarmente spiccati in questa fase della vita,
e che in particolar modo caratterizzano la media adolescenza
(dai 14-15 fino ai 17-18 anni) (Blos, 1962). Il raggiungimento
dell'autonomia psichica è stato concettualizzato come un processo
sofferto, legato al superamento definitivo delle tematiche edipiche
(A. Freud, 1957), al raggiungimento di un sapere relativo, fatto di
conoscenze e incertezze, tipico del mondo adulto (Meltzer, 1979) e al
distacco dai legami di tipo infantile con gli adulti di riferimento
(A. Freud, 1957; Winnicott, 1971), in cui l’investimento sul gruppo
adolescenziale riveste la più normale modalità di passaggio dalle
relazioni dell'infanzia con i familiari a quelle amicali,
sentimentali e della vita adulta.
Kestemberg
In linea con queste
concettualizzazioni, Evelyn Kestemberg (1962, 1980; Kestemberg,
Morvan,. 1985) concepisce l'adolescenza come un periodo di profondo
sconvolgimento in cui è centrale il rigetto delle identificazioni
precedenti: una “crisi” che è necessario vivere e risolvere per
evitare l'impoverimento a cui la sua forclusione o il suo
mascheramento porterebbe, e per giungere a una riorganizzazione
globale e più matura dell'equilibrio psichico.
Il raggiungimento di una
nuova organizzazione della personalità deve necessariamente passare
per la disorganizzazione dell'equilibrio pre-puberale. La
strutturazione dell'Io dipende dalle identificazioni infantili e lo
specifico schema che esse predispongono, e che non può prescindere
dalle dinamiche edipiche, informerà i modi in cui l'adolescente
fronteggerà le pulsioni genitali e i cambiamenti corporei. I
cambiamenti puberali producono uno sconvolgimento profondo degli
investimenti oggettuali e narcisistici, che dà il via a un processo
di angosciante ricerca della propria identità. Per giungere a una
nuova rappresentazione di sé, l'adolescente deve staccarsi dalla sua
precedente immagine infantile e allontanarsi dagli investimenti
edipici; le immagini genitoriali devono essere rifiutate e deve
essere pertanto tollerato il conseguente dissolvimento di quei punti
di riferimento fino ad allora considerati inamovibili. Ciò può
implicare un iniziale rigetto di sé come essere sessuato, e un senso
di estraneità nei confronti degli altri e di se stesso. Le
trasformazioni corporee, infatti, minano la coesione identitaria fino
a quel momento raggiunta. Essa può essere ristabilita solo
attraverso una moltiplicazione delle esperienze in cui la
diversificazione degli investimenti oggettuali consente di
affrancarsi gradualmente dalle relazioni d'oggetto familiari e di
ristrutturare il proprio Io e il proprio Ideale dell'Io attraverso
nuove interiorizzazioni e identificazioni.
Questo processo si
declina secondo modalità strettamente legate alla qualità
dell’evoluzione precedente e dei rapporti familiari attuali, e il
suo sviluppo dipenderà dalla qualità di “oggetti mediatori”
(esperienze con genitori e altri adulti significativi, con coetanei o
all'interno dei gruppi di pari), nella misura in cui essi riusciranno
a rimandare all'adolescente un'immagine soddisfacente di se stesso e
a fornirgli modelli di identificazione che gli permettano di
riprendere il percorso di crescita turbato dall'instaurarsi della
pubertà.
In caso siano presenti
criticità nella storia evolutiva passata e/o nelle relazioni
familiari attuali, l'adolescente può essere portato a rifiutare
brutalmente gli ideali e le immagini parentali, finendo così, in
assenza di validi “oggetti mediatori”, a sviluppare una ferita
narcisistica, e un conseguente deprezzamento personale, essendo
venute meno le fondamenta sui cui aveva organizzato la sua
personalità. Al contempo, la mancanza di “oggetti mediatori”
adeguati, e la conseguente difficoltà a pervenire a nuove adeguate
identificazioni, può portare a disturbi dell'identità sino a
rotture con la realtà di diverso livello di gravità.
Blos
Il distacco dalle figure
genitoriali viene inquadrato da Peter Blos (1962, 1967) all'interno
di un “secondo processo di separazione – individuazione”. Il
pensiero di Blos si fonda sulle concettualizzazioni di Margaret
Mahler (Mahler et al., 1975) sullo sviluppo psichico infantile.
L'autrice sostiene che il primo mese di vita del neonato sia
caratterizzato da un “autismo normale”, in cui il bambino è
rivolto verso se stesso, centrato sui suoi bisogni, non ha
consapevolezza dei suoi caregiver ed è relativamente indifferente
nei confronti degli stimoli esterni. Dal secondo al quarto mese, il
bambino passa a una seconda fase, detta “simbiotica”, in cui si
rappresenta il rapporto di dipendenza con la madre come se egli
facesse parte con lei di una stessa unità non differenziata.
Successivamente prende il via il "processo di
separazione-individuazione", che si protrarrà fino al terzo
anno di vita e attraverso il quale il bambino giungerà a percepirsi
separato dalla madre e strutturerà il suo senso di identità.
Il processo di
separazione-individuazione è diviso in quattro sottostadi.
Durante il primo
sottostadio, “differenziazione e sviluppo dell'immagine corporea”
(4º– 8º mese), il bambino prende coscienza del suo corpo e dei
suoi schemi senso-motori, comincia a esplorare l'ambiente e riesce a
distinguere la madre dalle altre persone.
Nel corso del secondo
sottostadio, detto della “sperimentazione” (8º – 14º mese),
il bambino mette alla prova le sue accresciute capacità motorie,
allontanandosi e avvicinandosi alla madre, al fine di creare con lei
una “distanza ottimale” che gli consenta di giocare, di esplorare
attivamente l'ambiente e di controllare contestualmente la sua paura
della separazione.
Nel corso del terzo
sottostadio, detto del “riavvicinamento” (14º – 24º mese), il
bambino presta molta attenzione alla madre, a ciò che le accade e
alle sue reazioni, alternando movimenti di avvicinamento e di
allontanamento che gli consentono, intorno ai 21 mesi, di trovare una
distanza ideale da lei.
Nell'ultimo sottostadio,
detto della “costanza dell'oggetto libidico” (3º anno), il
bambino perviene a una rappresentazione stabile e distinta di se
stesso e della madre, afferma la sua individualità e riesce a
svolgere attività piacevoli anche in caso di una sua assenza
prolungata.
Secondo Blos (1962,
1967), in adolescenza si verifica un secondo processo di separazione
– individuazione che comporta il distacco emozionale dagli oggetti
infantili interiorizzati e lo speculare allontanamento dalle figure
genitoriali. Il venir meno del supporto egoico dei genitori, insieme
all'aumentata intensità della tensione pulsionale, è responsabile
della debolezza dell'Io che, secondo Blos, caratterizza
l'adolescenza. Tuttavia, affinché si concluda la formazione del
carattere è indispensabile che l'adolescente si differenzi e diventi
sempre più indipendente dal suo ambiente.
L'adolescente alterna
movimenti di allontanamento e riavvicinamento nei confronti delle
proprie figure genitoriali, oscillando tra disinvestimento affettivo
e moti regressivi. Il disinvestimento affettivo dei genitori è
funzionale a prendere le distanze dai legami infantili
interiorizzati, e di investire in nuove relazioni e in nuove
attività, ma determina un senso di vuoto e di isolamento. L'angoscia
che questi ultimi determinato viene fronteggiata attraverso moti
regressivi che portano a prediligere l'azione rispetto al pensiero,
ad ammirare in maniera incondizionata altri adulti (reminiscenza
dell’idealizzazione dei genitori), ad attivare stati emozionali
fusionali (ad esempio, all'interno di gruppi guidati da un
determinato ideale) e a ricercare stimolazioni costanti che
consentano di colmare il vuoto.
In seno a questo
processo, l'adolescente riesce a trovare una sempre maggiore
separatezza dalle figure genitoriali, a orientarsi verso il gruppo
dei pari (prima adolescenza), a investire su altri oggetti e
su ideali diversi da quelli familiari (adolescenza vera e
propria), e ad acquisire un senso stabile e separato di sé,
divenendo autonomo dalle fonti di sostegno esterno (tarda
adolescenza).
Attaccamento,
esplorazione e autonomia
I moltissimi riscontri
delle ricerche empiriche condotte nell'ambito dell'Infant Research
nel corso degli ultimi decenni (vedi ad es. Beebe, Lachmann, 2002;
Riva Crugnola, 2007) hanno dimostrato che, fin dalla nascita, il
bambino è orientato verso la realtà, è in grado di differenziare
se stesso dal mondo esterno, di organizzare in maniera coerente ciò
che percepisce e ciò che vive, e di sintonizzarsi e interagire con
l'ambiente intorno a lui. Alla luce di queste evidenze, le ipotesi
freudiane e mahleriane sullo sviluppo psichico infantile non sono
sostenibili. Allo stesso modo, i dati che indicano come per la
maggior parte degli individui l'adolescenza sia un periodo privo di
particolari criticità (Offer,
Offer, 1975; Rutter et al., 1976; Offer et al., 1991), depongono a
sfavore di molti aspetti delle teorie classiche qui enucleate che ne
hanno sottolineato il carattere turbolento. La spinta all'autonomia,
compresa nel sistema motivazionale esplorativo-assertivo di
Lichtenberg (1989), non è in antitesi con le altre motivazioni
dell'individuo, ma piuttosto presente fin dalla prima infanzia: fa
parte di un insieme di motivazioni il cui ordine gerarchico muta al
variare delle esigenze di ogni specifico momento e dei compiti di
sviluppo precipui di ogni fase della vita (ibidem).
Le
concettualizzazioni psicoanalitiche dell'adolescenza concordano nel
ritenere centrale, conseguentemente alle trasformazioni puberali, il
superamento della dipendenza infantile nei confronti dei caregiver,
la sostituzione dei legami primari con rapporti più maturi di tipo
amicale e sentimentale-sessuale, e il raggiungimento di una
definizione di sé come individuo separato dai propri genitori. La
letteratura scientifica e le concettualizzazioni più moderne hanno
messo fortemente in discussione questi assunti.
La
ricerca evolutiva (Sameroff, Emde, 1989; Stern, 1989) ha evidenziato
come sia centrale nell’individuo la ricerca ed il mantenimento di
relazioni significative e reciproche. L'essere umano possiede delle
disposizioni innate che permettono l'emergere, fin dalle prime fasi
dello sviluppo, di complesse capacità sociali e interattive
(Schaffer, 1977; Trevarthen, 1979). L'intreccio fra tali competenze
precoci e le dinamiche interattive esperite nel corso della prima
infanzia si è rilevato un prezioso indicatore dello sviluppo
successivo (Sroufe, 1995, 2005; Sroufe et al., 2005; Schore, 2001a,
2001b). Le ricerche e gli studi nell'ambito della Teoria
dell'Attaccamento (Bowlby, 1969; Bowlby, 1989; Cassidy, Shaver, 2010)
hanno evidenziato come la motivazione centrale del neonato alla
nascita sia la ricerca di un legame di attaccamento stabile, ossia la
ricerca di un legame affettivo significativamente gratificante
all'interno del quale trovare protezione, cura e conforto. La
vicinanza e la disponibilità di una figura amorevole, obiettivo
esterno a cui mirano i comportamenti d'attaccamento del bambino,
garantisce il raggiungimento di un senso di sicurezza (obiettivo
inteno): in caso di pericolo o necessità c'è qualcuno che si occupa
di me, e posso stare tranquillo!
Questo
bisogno di sostegno rimane attivo per tutto il corso della vita: nel
corso degli anni la vicinanza fisica delle figure di attaccamento non
sarà più indispensabile, basterà saperne la disponibilità e la
reperibilità. Tutti i legami significativi saranno investiti da
questa motivazione: potrà restare sullo sfondo quando le cose vanno
bene, si è felici e soddisfatti, impegnati in una conversazione
piacevole, in attività divertenti, quando si fa sesso, oppure quando
si è concentrati nella propria attività di studio o lavorativa, si
legge un libro o si guarda un film, si visita una città, ci si
dedica a uno sport, ci si dedica alla risoluzione di un problema,
ecc. Quando, invece, insorgerà una qualche difficoltà, un malessere
fisico o emotivo, una preoccupazione, il bisogno di avere qualcuno
vicino pronto a prestare ascolto, conforto e aiuto si riattiverà con
forza: ciò vale sia nella ricerca dell'ascolto del partner o di un
amico per “sfogarsi” delle piccole frustrazioni quotidiane sia
per difficoltà e sofferenze di grado maggiore. Quanto detto è
possibile, ovviamente, solo nelle misura in cui le esperienze di
attaccamento vissute abbiano creato l'aspettativa, conscia e/o
inconscia, di trovare persone amorevoli e disponibili e di essere
meritevoli di sostegno e disponibilità: in questo caso si parla di
attaccamento sicuro. L'indisponibilità, o la disponibilità
parziale, che si attendono le persone con un attaccamento insicuro in
virtù delle esperienze negative vissute nel corso della propria
storia evolutiva, può interferire con la motivazione
all'attaccamento: o nel senso di una forclusione dei propri bisogni
di protezione, conforto e cura (Attaccamento Distanziante), o nel
senso di un eccessivo invischiamento derivato da una difficoltà a
raggiungere un senso di sicurezza interno (Attaccamento Preoccupato).
In
adolescenza, se è vero che i comportamenti d'attaccamento verso i
genitori vengono attivati con meno frequenza a favore dei sistemi
motivazionali esplorativo-assertivi, affiliativi, sessuali e
oppositivi, i genitori permangono come “base sicura” a cui
rivolgersi soprattutto in caso di difficoltà o di stress: pertanto,
l'individuazione non si ottiene prendendo le distanze dai genitori,
ma è qualcosa che necessita, piuttosto, della loro presenza discreta
e del loro sostegno (Ryan, Linch, 1989; Ammaniti et al., 1999). Una
storia di relazioni positive con i genitori, d'altra parte, è
correlata con i comportamenti adolescenziali di ricerca
dell'autonomia (Allen et al., 1994; Allen, Land, 1999).
Ad
ogni modo, nel periodo che segue immediatamente la pubertà si
riducono considerevolmente, per poi aumentare nuovamente in fasi più
avanzate dell'adolescenza, la condivisione delle decisioni con i
genitori (Hill, 1988; Montemayor, Hanson, 1985; Steinberg, 1981),
l'intimità affettiva (Steinberg, 1997) e il tempo passato con loro
(Csikzenmihalyi, Larson, 1984; Youniss, Smollar, 1985). Sempre nella
prima adolescenza, il funzionamento familiare può divenire meno
soddisfacente (Olson et al., 1983) e i conflitti essere più aperti.
Tuttavia, il conflitto tipicamente non è mai intenso e non porta a
una diminuzione della forza del legame affettivo (Montemayor,
1982,1983; Smentana, 1988).
Durante
le separazioni dai genitori, via via sempre più lunghe,
l'adolescente può mettere alla prova le proprie capacità, cercare
nuove figure di attaccamento, acquisire nuove competenze e un senso
sempre maggiore di autoefficacia (Rice, 1990). Anche nelle fasi di
“distacco dalla famiglia”, i genitori continuano a costituire una
fonte di aiuto, sia concreta e vicina, nei momenti di bisogno e di
stress, sia a distanza in maniera potenziale: la loro disponibilità
e il loro incoraggiamento, rispetto a compiti adeguati all'età,
facilita i moti esplorativi e di autonomizzazione del figlio
adolescente (Ryan, Lynch, 1989).
Il
mutamento dei rapporti tra genitori e figli adolescenti, da questa
prospettiva, può essere inteso come "una riorganizzazione e
ridefinizione dei legami familiari" (Steinberg, 1990) piuttosto
che come un progressivo processo di distacco.
La
ricerca ha dimostrato come la funzionalità o la disfunzionalità,
per la crescita dell'adolescente, degli scontri tra i genitori e i
figli, dipenda da fattori contestuali e individuali (Cooper, 1988;
Cooper, Ayers-Lopez, 1985; Hauser et al., 1991; Youniss, Smollar,
1985). Ad esempio, sono state evidenziate alcune differenze
sostanziali fra adolescenti con stili di attaccamento diverso (Allen,
Land, 1999; Becke-Stoll, Fremmer-Bombik, 1997; Reimer et al., 1996).
Se gli adolescenti con attaccamento Sicuro negli anche intensi
disaccordi con i genitori dirigono i loro sforzi per preservare sia i
propri bisogni di autonomia sia la relazione con loro, nelle coppie
di genitori e figli con attaccamento Insicuro le cose vanno
diversamente: i problemi vengono evitati, si verifica un forte
disinvestimento emotivo da una o da entrambe le parti, o, viceversa,
l'eccessivo invischiamento e/o una rabbia estrema rendono impossibile
la risoluzione dei conflitti.
La costruzione
dell'identità
I vari autori che si sono
occupati di psicologia dell'adolescenza concordano nel porre al
culmine di questa fase evolutiva il raggiungimento di una nuova
organizzazione psichica matura che sancisce l'ingresso nel mondo
degli adulti: il tema della costruzione dell'identità, pur non
sempre costituendone il perno, ha rappresentato una linea di
riflessione rilevante in ognuna di queste concettualizzazioni.
Tuttavia, fu Erikson (1959, 1963, 1964, 1982) il primo a occuparsene
estesamente e a considerare la ricerca della propria identità il
compito di sviluppo principale di ogni adolescente.
Erikson
Erikson (1968, p. 192)
definisce l'identità una “configurazione che gradualmente integra
dati costituzionali, esigenze libidiche idiosincratiche, capacità
preferite, identificazioni significative, difese efficaci,
sublimazioni ben riuscite e ruoli consistenti”. È l'esito di un
processo che si pone in linea di continuità con le sue origini
infantili, ma che incontra in adolescenza una fase di
riorganizzazione che connota un periodo “naturale” di
sradicamento e di crisi d’identità, la cui risoluzione dipenderà
dalle peculiari modalità con cui durante l'infanzia sono stati
integrati i differenti elementi identitari (Erikson, 1963, 1964,
1982). Le identificazioni passati e attuali, le competenze che si ha
avuto modo di sperimentare e i ruoli assunti nelle diverse relazioni
significative verranno riorganizzati in un complesso unico e quanto
più coerente possibile (Eriskson, 1968, 1982).
Distanziandosi dalla
teoria psicoanalitica, Erikson (1963) ritiene che il risultato di
questo processo derivi dallo scambio attivo tra l'individuo e il suo
ambiente fisico e sociale. La dimensione pulsionale perde la sua
centralità a favore dei modelli di funzionamento che si succedono
allo scopo di assolvere agli specifici compiti evolutivi, funzionali
a mediare la forza delle pulsioni e a intessere i rapporti sociali.
Lo sviluppo psichico è visto alla luce di uno sforzo continuo ad
adattarsi all'ambiente: gli stadi dello sviluppo psicosessuale
concettualizzati da Freud (1905) vengono messi in relazione con gli
aspetti culturali e sociali, ed estesi lungo tutto il corso dello
sviluppo (Erikson, 1950). Nella modellizzazione eriksoniana, lo
sviluppo individuale si declina lungo otto tappe che si succedono
dall'infanzia all'età adulta, ciascuna delle quali caratterizzata da
una potenziale crisi evolutiva che ha per scopo il raggiungimento di
una determinata “virtù” attraverso il superamento di uno
specifico dilemma psicosociale che nasce dalla relazione tra
l'individuo e il suo ambiente. La maturazione fisica ha ripercussioni
personali e sociali e, al contempo, le pressioni socioculturali ne
influenzano considerevolmente lo sviluppo. Vi è un adattamento
reciproco tra l'individuo e la “cultura”: le diverse culture
rivelano modi idiosincratici di guidare e promuovere il comportamento
dell'individuo in ogni fase del suo sviluppo. Le “crisi”
descritte negli otto stadi sorgono dall'interazione tra la
maturazione psico-fisica e le aspettative sociali. Ciascuno di questi
stadi è dominato da “problemi” che rimangono sullo sfondo in
altre fasi della vita. Se le crisi non trovano una soluzione
soddisfacente nel corso dello specifico stadio di cui sono
espressione, l'individuo si troverà a doverle fronteggiare anche in
seguito, contemporaneamente alla crisi dello stadio specifico in cui
si trova.
Durante il primo anno di
vita (infanzia), periodo in cui Erikson (1950, 1968) colloca il primo
stadio dello sviluppo individuale, il bambino ha il compito di
acquisire un buon equilibrio tra una fiducia e una sfiducia di fondo
nei confronti degli altri: se, grazie alla disponibilità e alla
sensibilità dei caregiver nei confronti dei suoi bisogni, la
conclusione di questa fase vede uno sbilanciamento nei confronti
della fiducia, il bambino acquisirà un senso di “speranza” e una
“fiducia di fondo”, in se stesso e negli altri, che lo guiderà
nelle relazioni future.
Il secondo stadio è
compreso tra i due e i tre anni (prima fanciullezza), periodo in cui
il bambino comincia a esplorare l'ambiente con maggior curiosità e
ad acquisire una maggior padronanza nei movimenti, nell'utilizzo del
linguaggio e nel controllo sfinterico. Il dilemma è tra l'autonomia
e le sensazioni di vergogna e dubbio: una presenza dei genitori che
rassicuri e che al tempo stesso valorizzi i comportamenti esplorativi
e i primi moti di autonomia, favorirà nel bambino l'acquisizione di
una maggiore indipendenza fisica e psicologica, e gli consentirà di
cominciare a porre la propria “volontà” (la “virtù” di
questa fase) in contrapposizione a quella altrui.
Tra i quattro e i cinque
anni (età del gioco), il conflitto è tra lo spirito di iniziativa e
il senso di colpa. La “finalità” è la “virtù” che
caratterizza questo stadio. Esso è centrato sull'identificazione con
i genitori, percepiti come grandi e potenti. I genitori vengono
utilizzati sia come modello identitario sia come polo da cui
allontanarsi per sperimentare la propria operosità e la propria
iniziativa. Il gioco di “ruoli” caratteristico di questa fase
richiede una valorizzazione coinvolta e flessibile che sostenga lo
spirito d'iniziativa del bambino.
Dai sei anni alla pubertà
(età scolare), il dilemma è tra l'industriosità e l'inferiorità.
In questo stadio, la virtù da raggiungere è un senso di
“competenza”: entrando a scuola, il bambino fa il suo ingresso
nel mondo della conoscenza e del lavoro; è il periodo in cui gli
apprendimenti hanno un ruolo di primo piano, in cui vengono ampliate
e messe alla prova le proprie abilità. L'acquisizione di un senso di
industriosità, competenza e padroneggiamento, o al contrario di
inadeguatezza e inferiorità, dipenderà dalla qualità delle
esperienze che verranno fatte durante questa fase.
Se i dilemmi tra intimità
e isolamento, generatività e stagnazione, integrità e
disperazione/disprezzo, costituiscono i temi centrali rispettivamente
della giovinezza, dell'età adulta e della senilità, è in
adolescenza che la ricerca della propria identità assume una
posizione di rilievo.
Le profonde
trasformazioni somatiche e le pressioni culturali a prendere
decisioni relative alla propria formazione e alla propria occupazione
futura, spingono gli adolescenti a integrare le diverse
identificazioni infantili, a cercare nuovi modelli e a sperimentare
nuovi ruoli. Il conflitto, in questa fase, è tra l'identità e la
diffusione dell'identità: esso prevede un'oscillazione fisiologica
fra ruoli, relazioni e mete diverse (moratoria psicosociale), e
l'assunzione di un senso di sé più definito che integri in maniera
quanto più possibile coerente le antiche e nuove immagini di sé.
La società ha un ruolo importantissimo in questa fase, poiché ha la
funzione di fornire all'adolescente la possibilità di sperimentarsi
in ruoli diversi e di offrirgli strutture ideologiche in cui il
giovane può riconoscersi ed essere riconosciuto. In questo senso,
per Erikson, l'adolescenza è la fase del ciclo vitale in cui la
cultura esercita il suo influsso maggiore. Se l'esito delle tappe
evolutive precedenti ha un impatto non trascurabile sulla crisi
d'identità che caratterizza l'adolescenza, la società può fornire
all'adolescente un valido supporto per superare i dilemmi non risolti
in precedenza, favorire l'integrazione delle diverse identificazioni
infantili, e offrire dei ruoli in cui l'adolescente può
sperimentarsi e che lo facilitino nell'effettuare le scelte che
delineeranno la sua identità futura. La “fedeltà” è la virtù
di questo stadio di sviluppo, e riguarda sia un più maturo senso di
fiducia nei confronti di se stessi e degli altri sia la capacità di
rimanere leali nei confronti di una causa, al di là della matrice
ideologica da essa sottesa.
Marcia
Partendo dalle
concettualizzazioni di Eikson, Marcia (1966) ha descritto quattro
stadi dell'identità che si susseguono nel corso dell'adolescenza e
che segnano il percorso evolutivo finalizzato all'acquisizione
dell'identità adulta. Tale percorso procede dai livelli meno
organizzati a quelli più organizzati: dalla “diffusione
dell'identità”, che può essere vissuta come una crisi o meno, ed
è caratterizzata da un'esplorazione superficiale e mutevole, e da
uno scarso impegno in relazioni e attività; “all'acquisizione
dell'identità”, in cui, al culmine di un'esplorazione impegnativa
e profonda, ci si impegna nelle alternative scelte. Tra questi due
poli estremi, Marcia colloca la “moratoria”, in cui
l'esplorazione, approfondita ma mutevole, non conduce a compiere
scelte a cui dedicarsi e porta l'adolescente a sperimentare una
crisi, e la “conclusione precoce”, in cui vi è un'inibizione
dell'esplorazione e una tendenza a far propri i desideri dei genitori
o di altri adulti.
Marcia considera la
successione degli stati d'identità identica in ogni adolescente.
Tuttavia, studi successivi (Meeus et al., 1999) hanno dimostrato che
l'adolescente può rimanere bloccato in uno dei quattro stati o
percorrerli seguendo percorsi diversi e oscillatori.
Infine, se Marcia ha
posto la crisi d'identità nella tarda adolescenza, tra i 18 e
i 22 anni, Erikson, come altri autori, ha sottolineato come il
conflitto d'identità cominci già nelle prime fasi dell'adolescenza.
Uno sguardo d'insieme
Nonostante l'eterogeneità
del pensiero degli autori che si sono occupati di adolescenza, è
possibile delineare alcuni aspetti su cui sembra esserci abbastanza
accordo.
L'adolescenza è una fase
evolutiva il cui inizio ruota intorno alla pubertà e che si estende
negli anni successivi. È una fase in cui, unitamente alla
maturazione sessuale e alle trasformazioni corporee, l'individuo
sviluppa notevolmente le sue abilità cognitive, nonostante le sue
capacità di regolazione emotiva non siano ancora giunte a
maturazione. I rapporti familiari ed extra-familiari cambiano
notevolmente: l'adolescente è maggiormente rivolto verso l'esterno;
esplora e si sperimenta in attività e relazioni diverse. In questa
fase l'individuo si trova a dover fronteggiare alcuni compiti di
sviluppo che interessano tutta l'adolescenza, ma che divengono
dominanti in alcuni periodi:
- rivolgimento verso di sé e integrazione delle modifiche corporee (prima adolescenza, 11-12 fino ai 14 anni);
- autonomizzazione, individuazione, e creazione di legami extra-familiari (seconda adolescenza, 14-15 fino ai 17-18 anni)
- costruzione dell'identità (tarda adolescenza, 17-18 anni fino al raggiungimento dell’età adulta).
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