mercoledì 14 febbraio 2018

I COMPITI DELL'ADOLESCENTE



L'adolescenza

Da molto tempo ormai il termine “adolescenza” fa parte dell'immaginario collettivo, indicando inequivocabilmente quell'età della vita che fa da ponte tra l'infanzia e l'età adulta.
Tuttavia, fino al diciottesimo secolo l'adolescenza è stata spesso confusa con l'infanzia, non delineando di fatto una fase specifica della vita. Il passaggio dall'infanzia all'adultità, infatti, avveniva in maniera rapida, e l'evento puberale costituiva lo snodo di un percorso evolutivo dai contorni decisamente sfumati, specie per le classi sociali medio-basse: basti pensare al precocissimo ingresso nel mondo del lavoro dei bambini di famiglie contadine e artigiane.
La cultura ottocentesca, dal Sigifrido di Wagner in poi, cominciò gradualmente a delineare con più chiarezza l'età adolescenziale, sottolineandone gli aspetti più prettamente legati allo sviluppo puberale, in un misto di purezza, forza fisica, spontaneità e vitalità (Ariès, 1960). Ed è proprio sui mutamenti biologici che fanno seguito all'evento puberale che si fondarono i primi studi sull'adolescenza (Hall, 1904), identificata come fase della vita specifica connotata da cambiamenti fisici e psicologici peculiari, nei confronti della quale l'interesse scientifico crebbe esponenzialmente dopo la seconda guerra mondiale (Debesse, 1970).
Sebbene da questa breve parabola storica si evinca abbastanza facilmente il peso dell'influenza di variabili culturali nella determinazione del “fenomeno adolescenza”, le concettualizzazioni degli autori psicoanalitici (Freud S., 1905; Freud A., 1936; Blos, 1962; Meltzer, 1979), sulla linea degli studi di Hall (1904), ne sottolinearono la determinazione biologica e/o psichica, negando la rilevanza dei fattori storico-culturali.
Al contrario, nello stesso periodo l'antropologia culturale mise in evidenza il forte impatto che la società e la cultura hanno nel delineare la fenomenologia dell'adolescenza: non esiste un solo tipo di adolescente, ma tanti quante sono le società e le cornici culturali in cui essi vivono. La ricerca etnografica portata avanti da Margaret Mead (1928) attraverso il metodo dell'osservazione partecipante evidenziò che, per i giovani di Samoa, l'adolescenza era un periodo sostanzialmente sereno e privo del carattere turbolento frequentemente riscontrato negli adolescenti americani dell'epoca. L’autrice, confrontando il popolo di Samoa con la società statunitense – in particolare su temi attinenti la religione, la moralità e la sessualità – ipotizzò che i conflitti e le inquietudini adolescenziali derivassero dall'eccessiva dipendenza tra genitori e figli e dall’organizzazione restrittiva e autoritaria della società e della famiglia americane (ibidem).
L'aporia natura-cultura non può essere superata nella misura in cui la focalizzazione su alcune caratteristiche dei fenomeni umani porti a negare, o a trascurare, altri aspetti rilevanti della realtà che si vuole studiare. Concepire l'adolescenza come un fenomeno determinato culturalmente o viceversa come un evento universale strettamente legato alla pubertà, non rende giustizia alla complessità dell'essere umano e alla mole di ricerche che hanno sottolineato l'influenza reciproca e continua fra l'individuo e il suo ambiente relazionale e sociale (Lewin, 1935; Bronfenbrenner, 1992; Cicchetti, Cohen 1995). Lo sviluppo individuale, infatti, può essere concettualizzato come frutto delle continue transazioni tra la persona e gli aspetti prossimali e distali del suo ambiente di sviluppo (Sameroff, Chandler, 1975).
Inoltre, la non sovrapponibilità dell'adolescenza con l’universale fenomeno della pubertà, che indubbiamente la influenza, rende ancor più difficile una sua univoca interpretazione (Brusset, 1985). Tanto più che lo stesso evento fisiologico puberale può presentarsi in età differenti, con una variazione che può essere anche considerevolmente ampia se vengono poste a confronto culture molto diverse tra loro; Callari-Galli e collaboratori (1989) osservarono ad esempio che nelle ragazze Bundi della Nuova Guinea il menarca compare mediamente a 18 anni, 5 anni più tardi rispetto alle ragazze europee.
Nonostante la mole di linee interpretative anche molto diverse tra loro, una lettura critica dei diversi approcci teorici, che ne tenga in considerazione la cornice epistemologica e li ponga a confronto con i riscontri delle ricerche empiriche, offre la possibilità di identificare alcune caratteristiche peculiari dell'adolescenza, e di osservarne gli aspetti critici e processuali, come gli aspetti di continuità e discontinuità evolutiva, che i vari autori hanno di volta in volta rilevato. Ciò permette di individuare alcuni compiti evolutivi caratteristici di questa fase della vita, che trovano un riscontro nelle teorie della motivazione più attuali (Liotti et al., 2017; Lichtenberg,1989).
In ambito psicoanalitico, Lichtenberg (ibidem) ha delineato 5 sistemi motivazionali organizzati attorno a bisogni di base presenti fin dalla nascita, ciascuno dei quali, in un ordine gerarchico mutevole, assume un peso differente in base ai diversi momenti e alle diverse fasi della vita: la regolazione psicologica delle richieste fisiologiche dell'organismo; la ricerca di un legame di attaccamento e di legami affiliativi; l'esplorazione e l'assertività; il bisogno di reagire avversativamente mediante opposizione o evitamento; il piacere sensuale e l'eccitazione sessuale.


I miti sull'adolescenza

Da Hall in poi, la visione dell'adolescenza come normale fase “turbolenta” della vita ha preso piede sia nelle concettualizzazioni degli autori psicoanalitici che se ne sono occupati (vedi ad es. Freud, 1957, 1966; Erikson, 1963, 1968; Kestemberg, 1962, 1980), sia nell'immaginario collettivo, nonostante diverse ricerche abbiano rilevato che solo una parte degli adolescenti vive questa particolare fase della vita come una “crisi” (Rutter et al.,1976; Offer, 1987; Offer, Sabshin, 1990; Powers et al., 1989). Il fatto che gli psicoanalisti abbiano basato le loro osservazioni in gran parte sugli adolescenti con difficoltà psichiche che avevano occasione di osservare in seno alla loro attività clinica potrebbe essere uno dei motivi principali di tale distorsione (Offer, Schonert-Reichl, 1992). Lo scarso dialogo con la ricerca e una certa dose di autoreferenzialità potrebbero d'altro canto aver portato alla persistenza di alcuni miti, per cui ancora l'adolescenza continua a essere concepita come una fase “normalmente burrascosa”. Offer e Schonert-Reichl (ibidem) ne mettono in evidenza cinque: il primo mito vuole che lo sviluppo in adolescenza sia normalmente tumultuoso, il secondo che questa fase della vita sia caratterizzata da un incremento di emotività, il terzo vede la pubertà come un evento negativo per l'adolescente, il quarto identifica l'adolescenza come la fase della vita in cui il rischio suicidario è maggiore, il quinto ritiene di tipo infantile il pensiero dell'adolescente.
Le ricerche hanno dimostrato che la maggior parte degli adolescenti ha un equilibrio adeguato, una positiva immagine di sé, relazioni positive con i genitori e il gruppo dei pari, e non è necessariamente in antagonismo con le figure adulte di riferimento (Offer, Offer, 1975; Rutter et al., 1976; Offer et al., 1991): normalmente quindi lo sviluppo dell'adolescente non è tumultuoso.
Inoltre, i tassi di suicidio in adolescenza rilevati dagli studi epidemiologici non sono stabili: presentano delle oscillazioni che sembrano più rapportabili a fattori demografici e sociali (Offer, Schonert-Reichl, 1992).
D'altro canto, il periodo principale di insorgenza di molti disturbi psichici è proprio l'adolescenza (Paus et al. 2008): pur avendola sottratta all'alone di “patologia” a cui a lungo era stata assoggettata, la ricerca ha parimenti sottolineato la significativa vulnerabilità che scaturisce dai profondi cambiamenti fisici, psichici e sociali a cui l'individuo va incontro in questa fase della vita.




Corpo, sessualità e trasformazione

Il più rapido sviluppo generale dell'organismo, il raggiungimento della maturità riproduttiva e lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari che la pubertà comporta segnano il passaggio dall'infanzia alla prima adolescenza (Blos, 1962; Miller, 1963). In questa fase, tra gli 11 e i 14 anni, l'individuo si confronta con cambiamenti corporei molto rapidi che necessitano di essere elaborati a livello psichico, in un processo affatto semplice che si protrarrà anche nelle fasi successive dell'adolescenza. È proprio la pubertà il punto di partenza degli studi psicoanalitici sull'adolescenza (Freud, 1905).

Freud

Per Freud (ibidem), la pubertà identifica il momento in cui lo sviluppo sessuale individuale raggiunge la sua maturazione definitiva.
La mente, come concettualizzata da Freud (1895, 1900, 1915), è un “apparato idraulico”, un sistema che “preme alla scarica” e che ha come scopo sovraordinato quello di mantenersi quanto più possibile esente da stimoli, di raggiungere il piacere – rifuggendo dallo spiacevole accumulo di tensioni – attraverso la scarica pulsionale (Freud, 1911). In questa concezione, l'ambiente ha un ruolo marginale e l'intera organizzazione psichica dipende dall'equilibrio delle pulsioni: sono le pulsioni a motivare il comportamento. Esse costituiscono i rappresentanti psichici degli stimoli corporei che pervengono alla psiche (Freud, 1915). Originano dalle modificazioni fisiologiche che, portando a un aumento quantitativo dell'eccitazione, provocano stimolazioni che a livello mentale vengono rappresentate come moti di desiderio che premono per il loro soddisfacimento, pulsioni in cerca di vie di scarica. Ad esempio, la secchezza delle fauci (spiacevole) produce una tensione interna che elicita comportamenti volti alla ricerca di acqua per dissetarsi (piacere) e ripristinare l'equilibrio (idro-elettrolitico) basale.
Per Freud (1905, 1905), le pulsioni “sessuali” o “libidiche” sono gli organizzatori principali della vita psichica individuale. La “sessualità” freudiana identifica una particolare qualità di piacere, una peculiare qualità di eccitazione (erogena) che differisce da quella somatica e che è presente fin dalla nascita. Il bambino freudiano (1905) è un "perverso polimorfo": ricerca il piacere “sessuale” senza alcuna finalità riproduttiva, attraverso zone erogene (mete) che, acquisendo il primato in diverse epoche dell'ontogenesi individuale, segnano le fasi dello sviluppo psicosessuale: orale (0 – 18 mesi), anale (18 mesi – 3 anni), fallica (3 – 6 anni), latenza (6 anni – pubertà).
L'ultima tappa dello sviluppo psicosessuale (genitale), che coincide appunto con la pubertà, vede le diverse zone erogene assoggettarsi al primato della zona genitale: in un individuo sano, la sessualità trova la sua organizzazione matura e acquisisce una finalità procreativa prima assente; il ritrovamento di oggetti esterni per raggiungere il soddisfacimento assume un'importanza di gran lunga superiore all'appagamento autoerotico, e, in un superamento definitivo del “complesso edipico”, sorge una ricerca di nuovi oggetti sessuali al di fuori dalla famiglia. È evidente come l'approccio freudiano riduca il significato dell’adolescenza al raggiungimento della sessualità adulta centrata sulla genitalità, e fondi le sue concettualizzazioni sulla “teoria della libido” che poco tiene conto dei profondi mutamenti che interessano l'età adolescenziale e di cui autori successivi si sono occupati.

Anna Freud

Per Anna Freud (1936, 1957, 1958, 1966), l'adolescenza è un “disturbo evolutivo”. Sviluppando le concettualizzazioni del padre, Anna Freud ha sottolineato come in adolescenza si ricapitoli lo sviluppo psicosessuale infantile: le fantasie, le credenze e le interiorizzazioni a esso legate si riorganizzano in un nuovo assetto psichico che deve in primo luogo fronteggiare l'incremento della libido caratteristico della pubertà e le conseguenze che ne derivano. Lo sviluppo psichico procede su un duplice binario: il passato psichico dell'infanzia continua a dominare l'inconscio dell'adolescente e dell'adulto, ma la progressione da una fase sessuale all'altra richiede una riorganizzazione sostanziale dell'assetto psichico dell'individuo.
L'adolescente è impegnato in una lotta emotiva, nello sforzo di controllare la forza emergente delle sue pulsioni genitali e di tenere a bada la regressioni verso le pulsioni pregenitali (A. Freud, 1936, 1957). La ricapitolazione dello sviluppo psichico infantile, infatti, porta l'adolescente a confrontarsi nuovamente con il complesso edipico – che viene vissuto come più minaccioso a causa dell'incremento delle tensioni sessuali che ora investono prioritariamente l'area genitale, rendendo più probabile l'eventualità dell'incesto –, il cui superamento richiede il ritiro della libido dagli oggetti infantili (con l'inevitabile lutto da elaborare) e il rivolgimento della stessa verso nuovi oggetti. Tutto ciò comporta un tumulto inevitabile: l'Io e il Super-Io sono costretti a mettere in discussione il loro equilibrio passato per far fronte alle pressioni del “corpo ribelle” (A. Freud, 1936). La loro organizzazione deve alterarsi abbastanza da accogliere le nuove mature forme di sessualità; in caso contrario, un Io rigido o immaturo potrebbe inibire o farsi sovrastare dagli impulsi dell'Es, o venire da essi deformato (A. Freud, 1957). In questa prospettiva, l'instabilità e la disorganizzazione è comunque la norma, e l'adolescenza è soggetta a un turmoil inevitabile che interrompe una crescita pacifica e che può condurre, in base al nuovo equilibrio che la psiche riesce a raggiungere, a una salute mentale soddisfacente o alla psicopatologia (A. Freud, 1966).
Secondo questa prospettiva, l'intervento psicoanalitico ha limitate possibilità perché, a causa della lotta emozionale in cui l'adolescente è impegnato, la quota di libido che può essere trasferita sull'analista è fortemente ridotta (A. Freud, 1957).

I coniugi Laufer

La linea di pensiero di Anna Freud viene portata avanti dal contributo di Moses ed Eglé Laufer (1984), che la sviluppano sottolineando come le trasformazioni puberali incidano sulla rappresentazione di sé. Le rapide trasformazioni corporee che accompagnano la definitiva maturazione sessuale richiedono una profonda elaborazione a livello mentale che ha lo scopo primario di padroneggiare l'eccitazione e la dimensione somatica che, in un misto di attrazione e paura, l'adolescente sente sfuggire al suo controllo: la masturbazione è un procedimento atto a tale scopo. I genitali maturi e i caratteri sessuali secondari devono essere integrati in una nuova rappresentazione del corpo, così come le fantasie, i desideri sessuali e le identificazioni edipiche necessitano di essere integrati in una nuova matura organizzazione che si ponga come formazione di compromesso tra ciò che si desidera e ciò che è lecito, all'interno di un’identità sessuale divenuta irreversibile.
Le fantasie infantili di fusione con il corpo della madre e l'idea di trovare nella madre l'appagamento dei propri bisogni libici con la pubertà devono essere progressivamente abbandonate, al fine di consentire il definitivo superamento del complesso edipico. La masturbazione che durante l'infanzia aveva lo scopo di ripristinare in fantasia la rassicurante unità idealizzata madre-bambino, in adolescenza può aumentare l'angoscia e la paura della passività: la “fantasia masturbatoria centrale” – che oltre le spinte pulsionali pre-genitali dirette verso il corpo della madre, comprende le principali identificazioni sessuali e la definizione del nucleo dell'immagine corporea – deve essere integrata nel contesto della genitalità. Ciò comporta l'urgenza di vivere tale fantasia nel contesto delle relazioni oggettuali extra-familiari e nelle proprie esperienze sessuali. Infatti, l'incremento delle spinte pulsionali rende molto più difficoltosa la gestione della fantasie a esse legate a livello intrapsichico: da qui la forte tendenza dell'adolescente a esteriorizzare i conflitti.
Per procedere regolarmente verso l'età adulta, l'adolescente deve integrare le proprie fantasie masturbatorie e le trasformazioni del proprio corpo in un'immagine integrata di sé. Questo processo può essere ostacolato se i soddisfacimenti regressivi riattivati dalle fantasie masturbatorie non vengono subordinati e integrati all'interno dell'organizzazione sessuale definitiva. Alcuni episodi psicotici transitori possono rappresentare in adolescenza la soluzione estrema che l'Io mette in atto per integrare la fantasia masturbatoria centrale nel contesto della genitalità. Il rifiuto inconscio della maturazione sessuale può portare a un “break-down” evolutivo, che i Laufer (1984) pongono come base eziologica dei disturbi psicopatologici che insorgono nella prima età adulta.
L'arresto di questo processo di integrazione può portare l'adolescente a sviluppare una visione distorta, carica di odio e di vergogna, del proprio corpo e del rapporto con esso. In alternativa, può formarsi uno «pseudoideale dell’Io» (Laufer, Laufer, 1984): un conformismo adattivo di superficie nel quale, tuttavia, i legami con gli oggetti edipici vengono lasciati intatti. Può anche capitare che l'adolescente vulnerabile cerchi di usare come ideale dell'io un oggetto fantasticato che, in un anelito ascetico, controlla il corpo sessualmente maturo. I Laufer considerano più gravi i break-down evolutivi che si verificano durante la pubertà. Break-down evolutivi che si verificano nella tarda adolescenza hanno maggiore probabilità di essere mitigati da un’organizzazione difensiva che consente all’adolescente di trovare risposte alternative ai desideri incestuosi che, in caso contrario, verrebbero proiettati all'esterno, compromettendo l'esame di realtà e dando luogo ad agiti autolesionistici, condotte tossicomaniche o improvvisi esordi psicopatologici: disperati tentativi di integrare in qualche modo il corpo sessuato maturo nell’immagine di sé.
Nella prospettiva dei Laufer, un intervento psicoanalitico è possibile se adattato alle caratteristiche di questa età, in una forma intensiva di trattamento mirato a favorire i processi d'integrazione rimasti bloccati.

La prospettiva evolutiva

Pur assumendo un peso specifico diverso all'interno delle diverse concettualizzazioni teoriche che sono state formulate sulla psicologia dell'adolescenza, la pubertà, i cambiamenti a essa associati e la dimensione sessuale, hanno costituito uno dei principali trait d'union tra le diverse modellizzazioni dello sviluppo adolescenziale. I cambiamenti fisici e la maturazione sessuale sono considerati in maniera unanime una delle caratteristiche centrali dell'adolescenza. Tutti gli autori che si sono occupati di adolescenza, seppur partendo da prospettive teoriche diverse e mettendo in luce aspetti anche molto eterogenei tra loro, sottolineano il lavoro che l'adolescente si trova a dover compiere per elaborare mentalmente i profondi cambiamenti da cui è interessato.
Durante la prima adolescenza, la maggior concentrazione verso il proprio corpo e le proprie sensazioni è a servizio di uno dei primi compiti evolutivi che il giovane deve assolvere. Esso consiste nell'integrare le trasformazioni fisiche e sessuali puberali in modelli rappresentazionali nuovi che portano a una sostanziale modifica della percezione di sé e degli altri (Brooks-Gunn, Petersen & Eichorn, 1985; Paikoff & Brooks-Gunn, 1991). Le modifiche che l'adolescente apporta al proprio corpo e alla propria immagine (scelta di un certo tipo di vestiario, piercing, tatuaggi, allenamento fisico, ecc.) costituiscono dei modi con cui egli cerca di scoprire e padroneggiare il proprio corpo, ricercare l'accettazione e la desiderabilità dei pari e comunicare agli adulti la propria autonomia e/o la propria sofferenza (Charmet, Macazzan, 2000). L’aumento di testosterone e adrenalina, secondo alcuni autori (Kenrick, Griskevicius, 2013), porta l'adolescente a mettersi in mostra e ad assumere comportamenti rischiosi, al fine di destare l'attrazione dei membri del sesso opposto.
Se le impostazioni teoriche più moderne continuano a dare molta importanza alla componente sessuale nello sviluppo dell'adolescente, allo stesso tempo sottolineano l'importanza di non trascurare altri sistemi motivazionali fondamentali che in quest'epoca della vita necessitano di essere riorganizzati in virtù delle nuove esigenze psicofisiche e delle richieste dell'ambiente. In questo contesto, la motivazione sensuale-sessuale (Lichtenberg, 1989) può sovrastare altre motivazioni o essere da esse facilmente incorporata. I cambiamenti ormonali spingono l'adolescente a cercare sempre di più la compagnia di un pari – dell'altro sesso, per l'adolescente eterosessuale – nei confronti dei quali generalmente si attivano i sistemi motivazionali di attaccamento e di accudimento, oltre che quello sessuale (Ainsworth, 1991).

Gli strumenti per esplorare

Anna Freud

Anna Freud (1936, 1957) ha sottolineato come, a fianco ai turbamenti che riteneva tipici dell'età adolescenziale, questa età della vita fosse interessata dall'acquisizione di più complesse capacità logico-formali. Tuttavia, nella concettualizzazione dell'autrice la dimensione del pensiero assume il compito prioritario di fronteggiare l'incremento di tensione innescato dai cambiamenti puberali, tenendo a bada gli impulsi e distanziandosi dai legami oggettuali infantili: l'intellettualizzazione diviene una delle forme di difesa caratteristiche di questa fase della vita, in cui emozioni e pulsioni vengono controllate al livello del pensiero; da ciò può derivare l'iperinvestimento in attività intellettuali, la propensione a interessarsi a questioni filosofiche o esistenziali, o l'adesione acritica a ideologie estreme.


Meltzer

Negli sviluppi psicoanalitici kleiniani e post-kleiniani le dinamiche inerenti la sessualità perdono la loro centralità a favore di un conflitto (“epistemofilico”) centrato sulla “conoscenza”. È la fame di conoscenza che, sorretta dallo sviluppo cognitivo che interessa questa fase evolutiva, porta l'adolescente a riorganizzare in maniera considerevole il suo mondo psichico e conseguentemente le sue relazioni con l'ambiente circostante. In linea con le concettualizzazioni kleiniane, Meltzer (1979) ritiene che l'adolescente si opponga agli adulti per accedere a quella conoscenza che ritiene essi vogliano mantenergli nascosta, il grande segreto “di fare i bambini” che fino all'età di latenza era stato considerata a completo appannaggio dei genitori, considerati onnipotenti e onniscienti. Il crollo dell'onniscienza e dell'onnipotenza genitoriale, speculare al crollo dell'onnipotenza e della conoscenza magica infantili, fa emergere un profondo stato di incertezza e confusione che dà vita a una profonda crisi d'identità. La confusione tra gli opposti (ad es. buono/cattivo, adulto/bambino, maschile/femminile), sommersa fino ad allora dall'onnipotenza infantile e dalla convinzione dell'onniscienza genitoriale, emerge con l'avvento della pubertà (Meltzer, 1973). La sessualità, in questo modello, è solo uno dei modi con cui l'adolescente può cercare di fronteggiare lo stress derivato da questo nuovo emergente stato di confusione.
L'identità familiare viene persa e con essa anche la propria identità va in crisi. L'adolescente si ritrova di fronte a un bivio inconscio nei confronti del quale è chiamato a fare una scelta (Meltzer, 1979): se i miei genitori non sono onnipotenti e onniscienti come pensavo, mi sono generato da solo o i miei genitori sono da qualche altra parte (ad es. Dio, una squadra di calcio)?
Questa domanda tradisce una difficoltà ad abbandonare l'onnipotenza infantile, l'idea che sotto questo cielo non possa esistere nulla di non conosciuto: la negazione dell'ignoto che fa paura. I tentativi di risolvere questa dinamica di fondo sono situati tra due estremi che portano il giovane a identificarsi con la comunità degli adolescenti o a considerarsi un individuo isolato, speciale e unico. Al contempo, l'adolescente è spinto a ricercare la propria strada nel mondo degli adulti, fatto di indipendenza e di potere, ma non è immune al fascino nostalgico del proprio passato infantile in cui, almeno in fantasia, poteva fregiarsi della protezione di adulti che sapevano tutto e potevano fare tutto.
Meltzer ritiene che l'adolescente oscilli continuamente tra questi quattro posizioni (comunità degli adolescenti, comunità dei bambini/della famiglia, comunità degli adulti, adolescente isolato) nel tentativo di superare la confusione e la disillusione, e di trovare la propria identità. È proprio questa fluttuazione continua tra le diverse comunità, che configurano specifici, isolati, eterogenei e mutevoli stati della mente, a complicare il lavoro psicoanalitico con gli adolescenti.
Questo stato comporta una “normale sofferenza mentale” che va tollerata in attesa che la confusione si chiarisca, permettendo ai diversi stati mentali sperimentati in maniera oscillatoria di venire integrati e subordinati all'organizzazione mentale matura dell'età adulta.
In questo processo, l'adolescente si sperimenta in un'oscillazione che investe realtà e fantasia, azione e pensiero, egoismo e altruismo. Si lancia in avanti per mezzo della sessualità, delle prestazioni scolastiche o di guadagni economici, e indietro per mezzo della fantasia, dell'interesse per l'arte, la letteratura o la filosofia: investimenti parziali che devono essere debitamente integrati per raggiungere un soddisfacente equilibrio in età adulta. In questo processo, il gruppo dei coetanei assume un ruolo fondamentale, in quanto costituisce il contesto in cui l'adolescente riesce a cristallizzare le continue oscillazioni, senza l'interferenza dei genitori e mantenendo una certa quota di flessibilità. Il passaggio dal gruppo puberale, omosessuale, al gruppo adolescenziale (eterosessuale) è inoltre importante per superare la posizione schizoparanoide che interessa il primo gruppo, in cui la sofferenza mentale è proiettata sui membri dell'altro sesso, e passare a una posizione depressiva in cui diviene possibile sperimentare la sofferenza e procedere verso uno sviluppo potenzialmente positivo (Meltzer, Harris, 1983).
La negazione della sofferenza, al contrario, può portare a un'idealizzazione della confusione all'interno della comunità degli adolescenti, o a una negazione della confusione che può passare per un prematuro ingresso stabile nella comunità degli adulti (ricerca sfrenata del successo e di uno status sociale), per un ritorno nel rassicurante contesto familiare in cui i genitori possono continuare a essere idealizzati o per un isolamento melagomanico e onnipotente (in cui il crollo di una potente idealizzazione dei genitori non riesce a essere sostituita con un rivolgimento concreto verso la vita relazionale e affettiva) (Meltzer, 1979).


L'intelligenza adolescente

Piaget

Piaget (Piaget, Inhelder, 1955) fu uno dei primi autori a mettere in luce le più evolute capacità cognitive dell'adolescente in seno a un modello di sviluppo che trascende gli aspetti conflittuali considerati centrali dagli autori psicoanalitici. Secondo Piaget, in adolescenza si raggiunge il culmine dello sviluppo cognitivo: tra gli 11 e i 15 anni, il pensiero giunge al suo “stato operatorio formale” (“pensiero astratto”). Se il pensiero infantile è strettamente legato alla percezione e la concretezza degli oggetti e orientato alla realtà quotidiana, l'adolescente gradualmente diviene capace di riflettere su di sé e sul proprio pensiero, e di abbandonare il carattere monolitico e assolutistico delle concezioni infantili a favore di un relativismo che gli consente di considerare la soggettività di ogni punto di vista e di formulare ipotesi, che ormai sa di dover verificare, sulla realtà che lo circonda.

Fonagy

Fonagy (Fonagy, Target, 2000, 2001, 2002) sviluppa le concezioni piagetiane sulla comparsa del pensiero astratto in adolescenza, facendo riferimento al considerevole incremento delle capacità di mentalizzazione che interessano questa fase della vita. La mentalizzazione si riferisce alla capacità di comprendere il comportamento proprio e altrui in termini di stati mentali, ossia in termini di pensieri, emozioni e desideri che delineano la soggettività individuale. Lo sviluppo delle capacità di mentalizzazione è reso possibile da relazioni con persone che, fin dalla prima infanzia, risultano in grado di fornire al bambino sufficiente amore e riflessività. La capacità dei caregiver di fornire una comprensione e un rispecchiamento sensibili, e una risposta adeguata ai suoi diversi stati mentali, facilita nel bambino lo sviluppo della capacità di comprendere in modo accurato se stesso e il suo mondo interpersonale, e di regolare i propri stati emotivi. Sono evidenti le somiglianze con la “funzione alfa” concettualizzata da Bion (1963): uno dei punti di partenza delle teorizzazioni e degli studi di Fonagy.
A differenza di Piaget che aveva dato poco rilievo ai fattori contestuali e relazionali, Fonagy (Fonagy, Target, 2002) sottolinea come la spinta alla comprensione interpersonale, notevolmente intensificata durante l'età adolescenziale, costituisca per il giovane una competenza nuova che va esercitata e che necessita di incontrare un ambiente familiare che la supporti e la faciliti. Ovviamente, adolescenti i cui caregiver non abbiano assolto adeguatamente in precedenza la loro funzione di rispecchiamento, possono vivere in modo traumatico lo sviluppo delle capacità di mentalizzazione.
In ogni caso, l'aumento dell'interesse alla comprensione interpersonale produce dei cambiamenti rilevanti nei modi in cui l'adolescente si rapporta al suo contesto familiare e interpersonale. La capacità di riconoscere la soggettività del pensiero altrui gli consente di immedesimarsi in prospettive diverse e di distinguere tra il proprio punto di vista e quello degli altri; ciò lo porta, parimenti, a sviluppare un nuovo senso di egocentrismo: una propensione a ritenere centrale la propria prospettiva al fine di sperimentare le proprie capacità di ragionamento, specialmente nella sua relazione con gli altri. In questo contesto, è fondamentale che la famiglia si renda disponibile a sintonizzarsi con i cambiamenti del figlio o della figlia adolescente, a rinegoziare gli aspetti qualitativi e quantitativi della loro relazione. Le discussioni familiari costituiscono la palestra in cui l'adolescente può apprendere a gestire e risolvere le divergenze di opinioni, preservando sia la propria autonomia sia la relazione con i genitori: ciò è quanto avviene in famiglie in cui la qualità del rapporto e del dialogo è positiva (genitori e figli con attaccamento sicuro); in situazioni meno positive (genitori e figli con attaccamento insicuro), invece, le discussioni o la risoluzione dei problemi vengono evitate, o, al contrario, i rapporti divengono eccessivamente conflittuali, connotati da disimpegno o da una rabbia disfunzionale.

Il cervello adolescente

L'importanza, durante l'adolescenza, della presenza di figure adulte disponibili ma non intrusive, autorevoli ma non autoritarie, valorizzanti ma non lassiste, sembra essere avvalorata anche dai riscontri delle neuroscienze sul “cervello adolescenziale”.
Lo sviluppo cerebrale in adolescenza non procede in maniera omogenea. Il volume dell'attività del nucleus accumbens – parte dello striato ventrale (Nuclei della base) sede dei circuiti Cortico-Striato-Talamici del sistema limbico (l'area del cervello responsabile dell'origine delle emozioni) – degli adolescenti è simile a quello degli adulti, mentre la loro attività prefrontale – l'area “razionale” del cervello, implicata, tra le altre cose, nella modulazione delle emozioni – è più simile a quella dei bambini (Galvan et al., 2006). La maturazione della corteccia prefrontale si conclude intorno ai 25 anni. Ciò spiegherebbe la maggior tendenza degli adolescenti, rispetto agli adulti, a essere impulsivi e a mettere in atto comportamenti a rischio. Tuttavia dati di ricerca hanno dimostrato che la labilità dell'umore e l'incremento dell'emotività non sono maggiori in adolescenza rispetto ad altre fasi della vita (Larson, Lampman-Petraitis, 1989; Elliott, Feldman, 1990): potrebbe essere ragionevole ipotizzare che, nella maggior parte dei casi, le accresciute capacità cognitive dell'adolescente e la presenza di rapporti positivi con i familiari e con i pari riescano a modulare efficacemente il fisiologico squilibrio cortico-limbico che si verifica in adolescenza.

Esplorare

Le crescenti capacità cognitive dell'adolescente si pongono al servizio del sistema motivazionale esplorativo che, in questa nuova fase della vita, si rivolge a più ampi percorsi di conoscenza (Lichtenberg, 1989), nel corso di un processo di scoperta, di per sé piacevole (Buner, 1962), in cui l'individuo acquisisce una maggiore padronanza del proprio mondo interpersonale e intrapsichico, mentre comincia a procedere verso la definizione della propria identità adulta e della propria progettualità futura.



Il lutto dell'infanzia

Il vero viaggio di scoperta non consiste nell'esplorare nuove terre ma nel guardare con nuovi occhi, scriveva Proust. Nelle nuove terre dell'adolescenza, lo sguardo nuovo che si viene a formare costituisce contemporaneamente il frutto di questo processo di esplorazione e la prospettiva da cui l'esplorazione stessa viene condotta. L'abbandono definitivo delle valli dell'infanzia, al di là di quanto possano essere state più o meno rassicuranti, lascia un ricordo in cui gli aspetti incompatibili, fisici e non solo, con i cambiamenti sopraggiunti e le nuove esigenze devono essere definitivamente riposti nella propria storia; mentre la curiosità, la vitalità e la bramosia dell'infanzia devono essere integrate in una configurazione più articolata che tenga conto delle motivazioni che con forza spingono l'adolescente a gettare il suo sguardo verso il futuro.

Anna Freud

Anna Freud (1957) aveva dato una lettura di questo processo inquadrandola nel contesto della teoria pulsionale per cui il disinvestimento dai legami oggettuali infantili è la condizione imprescindibile per il definitivo superamento del complesso edipico: l'adolescente deve abbandonare la bramosia nei confronti del suo oggetto sessuale primario (madre – padre) per rivolgere i suoi investimenti, ora organizzati nella cornice della più matura sessualità genitale, verso oggetti esterni alla famiglia. Questo progressivo disinvestimento viene considerato un vero e proprio lutto (Freud, 1917): la perdita degli oggetti sessuali infantili e la rinuncia al predominio delle mire sessuali pre-genitali caratteristiche dell'infanzia, richiedono di essere elaborate in un processo che, come ogni lutto, non è esente da movimenti regressivi in cui i diversi aspetti degli oggetti a cui la libido era legata vengono soprainvestiti, prima che un definitivo distacco avvenga.
In questo processo, Anna Freud (1957) sottolinea come l'Io possa mobilitare diverse difese contro i legami oggettuali infantili: la libido può essere rapidamente trasferita dai genitori a figure esterne alla famiglia, e ciò può portare l'adolescente a crearsi degli idoli, a partecipare a bande giovanili e a formare legami appassionati con i pari (difesa per spostamento della libido); l'amore verso i propri genitori può trasformarsi in odio, la dipendenza in ribellione, il rispetto e l'ammirazione in disprezzo e derisione, e ciò può portare ad attribuire il ruolo di persecutori ai genitori o ad altre figure adulte significative della vita dell'adolescente, in un processo di proiezione della propria aggressività, oppure a incorrere in stati depressivi, vissuti autosvalutativi, atti autolesionistici o tentati suicidi, in un rivolgimento della rabbia contro di sé (difesa mediante inversione dell’affetto); vi può essere un ritiro narcisistico, in cui l'Io viene sovrainvestito a danni del mondo esterno, e l'adolescente può restare ingabbiato in fantasie di potere e di grandezza megalomaniche (difesa mediante ritiro della libido verso di sé); infine, qualora il distacco dalle figure genitoriali risulti essere troppo angoscioso per l'adolescente, l'Io può giungere a identificarsi con gli oggetti primari, con un conseguente cambiamento regressivo in tutte le parti della personalità, una sostanziale diminuzione dell'esame di realtà e dei propri confini personali (difesa mediante regressione).
È da notare come nella descrizione delle difese che l'adolescente può mettere in atto nei confronti dei legami oggettuali primari, Anna Freud si basi, sviluppandole, su alcune idee espresse dal padre in “Lutto e Melanconia” (Freud, 1917). Qui Freud poneva alla base dei fenomeni depressivi e di lutto patologico una scissione dell'Io per cui a una perdita oggettuale relativa a un rapporto improntato su basi narcisistiche e connotato da una forte ambivalenza emozionale, segue una regressione in cui una parte dell'Io si identifica con l'oggetto perduto incorporato e su di essa viene diretta l'aggressività inizialmente rivolta verso l'oggetto.
Nella descrizione delle difese che l'Io adolescente è solito mettere in atto per far fronte ai cambiamenti puberali, Anna Freud (1957) differenzia le difese contro i legami oggettuali primari dalle difese contro gli impulsi, annoverando tra queste ultime, oltre all'intellettualizzazione e alla testardaggine, l'ascetismo, in cui il controllo dei cambiamenti corporei viene portato allo stremo, in una guerra ai bisogni fisiologici che può portare a un rigido controllo della masturbazione, dell'alimentazione e dell'attività fisica.
La presenza di queste difese non è da considerarsi patologica di per sé: esse, infatti, come in ogni epoca della vita, devono essere valutate in base alla loro intensità, adeguatezza rispetto all'età, reversibilità e flessibilità (Sandler, 1990).

Winnicott

Tra gli autori che si sono occupati di descrivere il lutto che l'adolescente si trova a dover elaborare, Winnicott (1971, 1973) ha sottolineato la crisi depressiva legata al distacco dagli oggetti primari, unitamente allo “stato di bonaccia” (sentimenti di futilità e mancata definizione della propria soggettività) che interessa il processo di acquisizione di un senso di sé e al particolare “isolamento” che caratterizza questa fase della vita. Per Winnicott, l'adolescenza è un periodo più “depressivo” che “esplosivo”: pur prendendo in considerazione la dimensione pulsionale ed edipica, sembra collocarla più sullo sfondo di un processo in cui assume un ruolo di primo piano la relazione tra i compiti evolutivi dell'adolescente e la risposta che il suo ambiente di sostegno è in grado di fornire a questi ultimi; ne risulta un capovolgimento di prospettiva in cui le difficoltà che gli adolescenti possono incontrare dipendono da “insufficienze ambientali”, familiari, relazionali, sociali e istituzionali, più che da un fisiologico “turmoil” evolutivo. Ciò che viene sottolineato è la separazione dai genitori e le vicissitudini depressive che la riguardano.
L'adolescente si trova a dover affrontare nuovamente il superamento della sua condizione di “controllo onnipotente”: come il bambino, necessita di transitare dalla “realtà oggettiva”, costituita dalla sicurezza delle relazioni familiari infantili, a una “realtà soggettiva”, in cui l'incontro con “oggetti oggettivi”, i cui bisogni sono diversi dai propri e le cui reazioni sono indipendenti dalla propria soggettività (Winnicott, 1968). In questa prospettiva, la rabbia provocata dall'inevitabile disillusione scaturita dal constatare, ormai in maniera inequivocabile, che i propri bisogni e le proprie esigenze possano scontrarsi con la mancata comprensione degli adulti, diviene un mezzo per “creare” la realtà e, specularmente, la propria “soggettività”: se “l'oggetto” non sparisce e non attua ritorsioni, l'adolescente può costituirsi come individuo distinto capace di relazioni con oggetti esterni al di fuori del suo controllo.
Sotto un'altra prospettiva, potremmo vedere il processo descritto da Winnicott come il superamento dello “psichismo infantile” (caratterizzato dal pensiero magico, dall'egocentrismo, dall'onnipotenza, dall'autorità espistemica che ricoprono le figure genitoriali, dall'ipergeneralizzazione e dalla limitata comprensione delle relazioni casuali), favorito dall'accrescimento delle capacità cognitive che si verifica in adolescenza e dipendente dalla “bontà” di un ambiente “non traumatizzante” in grado di accogliere i bisogni evolutivi dell'individuo (Gazzillo, 2016).
Secondo Winnicott (1971, 1973), il processo di transizione che porta l'adolescente a “ripudiare” la realtà esterna e a costituirsi come individuo distinto è accompagnato da atteggiamenti provocatori e di insolente indipendenza regressiva, che possono alternarsi rapidamente e talora coesistere, e un forte senso di isolamento. L'adolescente ha bisogno di evitare false soluzioni e falsi compromessi, di evitare di definire se stesso e la propria progettualità prima di costituirsi come individuo distinto che esplora l'ambiente nella sua “oggettività” (cioè oltre l'influsso genitoriale), sperimentando sentimenti di unicità, e quindi di “realtà”, e sopportando i momenti in cui non riesce a sentirsi “reale”: cioè quei momenti in cui la crisi depressiva relativa al distacco dalle figure genitoriali non è ancora proceduta a tal punto da consentirgli di definire il proprio Sé. I sentimenti di “realtà” passano anche per espressioni di aggressività e agiti che assolvono a una funzione di temporanea integrazione e autoaffermazione.
In questo processo, l'adolescente necessita di un ambiente che tolleri e accolga le sue mutevoli esigenze, le espressioni di sé e le sue incertezze, rispondendo contingentemente ai suoi bisogni di dipendenza ancora attivi.
Questa naturale crisi adolescenziale è caratterizzata da un forte senso di isolamento: l'adolescente winnicottiano è un individuo isolato che ricerca l'aggregazione mediante l'adozione di gusti comuni, e il gruppo adolescenziale rappresenta unicamente “un aggregato di isolati” (Winnicott, 1971), a meno che non venga attaccato come gruppo e quindi si strutturi in un'organizzazione paranoide reattiva. Il gruppo costituisce il luogo delle identificazioni di prova per gli adolescenti ed è per questo un contesto in cui individui che abbiano sviluppato vulnerabilità a causa di un insufficiente sostegno ambientale possono dare corpo alla loro sintomatologia potenziale, specialmente per quanto riguarda le tendenze antisociali. Infatti, la presenza di adolescenti depressi o antisociali all'interno di un gruppo, può portare quest'ultimo a strutturarsi in conformità a tali posizioni estreme. Gli agiti tipicamente adolescenziali (lotta, furti, fughe, ecc.) e le incursioni sperimentali nel mondo degli adulti (sedersi in un circolo a bere o ad ascoltare musica) fanno parte delle dinamiche adolescenziali che naturalmente evolvono verso un affievolimento della protesta in essi insita, a meno che membri particolarmente turbati del gruppo non strutturino l'organizzazione di quest'ultimo.



La conquista dell'autonomia

Il lutto adolescenziale per la perdita del proprio corpo e delle proprie relazioni infantili è strettamente legato ai moti di individuazione e di autonomizzazione particolarmente spiccati in questa fase della vita, e che in particolar modo caratterizzano la media adolescenza (dai 14-15 fino ai 17-18 anni) (Blos, 1962). Il raggiungimento dell'autonomia psichica è stato concettualizzato come un processo sofferto, legato al superamento definitivo delle tematiche edipiche (A. Freud, 1957), al raggiungimento di un sapere relativo, fatto di conoscenze e incertezze, tipico del mondo adulto (Meltzer, 1979) e al distacco dai legami di tipo infantile con gli adulti di riferimento (A. Freud, 1957; Winnicott, 1971), in cui l’investimento sul gruppo adolescenziale riveste la più normale modalità di passaggio dalle relazioni dell'infanzia con i familiari a quelle amicali, sentimentali e della vita adulta.

Kestemberg

In linea con queste concettualizzazioni, Evelyn Kestemberg (1962, 1980; Kestemberg, Morvan,. 1985) concepisce l'adolescenza come un periodo di profondo sconvolgimento in cui è centrale il rigetto delle identificazioni precedenti: una “crisi” che è necessario vivere e risolvere per evitare l'impoverimento a cui la sua forclusione o il suo mascheramento porterebbe, e per giungere a una riorganizzazione globale e più matura dell'equilibrio psichico.
Il raggiungimento di una nuova organizzazione della personalità deve necessariamente passare per la disorganizzazione dell'equilibrio pre-puberale. La strutturazione dell'Io dipende dalle identificazioni infantili e lo specifico schema che esse predispongono, e che non può prescindere dalle dinamiche edipiche, informerà i modi in cui l'adolescente fronteggerà le pulsioni genitali e i cambiamenti corporei. I cambiamenti puberali producono uno sconvolgimento profondo degli investimenti oggettuali e narcisistici, che dà il via a un processo di angosciante ricerca della propria identità. Per giungere a una nuova rappresentazione di sé, l'adolescente deve staccarsi dalla sua precedente immagine infantile e allontanarsi dagli investimenti edipici; le immagini genitoriali devono essere rifiutate e deve essere pertanto tollerato il conseguente dissolvimento di quei punti di riferimento fino ad allora considerati inamovibili. Ciò può implicare un iniziale rigetto di sé come essere sessuato, e un senso di estraneità nei confronti degli altri e di se stesso. Le trasformazioni corporee, infatti, minano la coesione identitaria fino a quel momento raggiunta. Essa può essere ristabilita solo attraverso una moltiplicazione delle esperienze in cui la diversificazione degli investimenti oggettuali consente di affrancarsi gradualmente dalle relazioni d'oggetto familiari e di ristrutturare il proprio Io e il proprio Ideale dell'Io attraverso nuove interiorizzazioni e identificazioni.
Questo processo si declina secondo modalità strettamente legate alla qualità dell’evoluzione precedente e dei rapporti familiari attuali, e il suo sviluppo dipenderà dalla qualità di “oggetti mediatori” (esperienze con genitori e altri adulti significativi, con coetanei o all'interno dei gruppi di pari), nella misura in cui essi riusciranno a rimandare all'adolescente un'immagine soddisfacente di se stesso e a fornirgli modelli di identificazione che gli permettano di riprendere il percorso di crescita turbato dall'instaurarsi della pubertà.
In caso siano presenti criticità nella storia evolutiva passata e/o nelle relazioni familiari attuali, l'adolescente può essere portato a rifiutare brutalmente gli ideali e le immagini parentali, finendo così, in assenza di validi “oggetti mediatori”, a sviluppare una ferita narcisistica, e un conseguente deprezzamento personale, essendo venute meno le fondamenta sui cui aveva organizzato la sua personalità. Al contempo, la mancanza di “oggetti mediatori” adeguati, e la conseguente difficoltà a pervenire a nuove adeguate identificazioni, può portare a disturbi dell'identità sino a rotture con la realtà di diverso livello di gravità.

Blos

Il distacco dalle figure genitoriali viene inquadrato da Peter Blos (1962, 1967) all'interno di un “secondo processo di separazione – individuazione”. Il pensiero di Blos si fonda sulle concettualizzazioni di Margaret Mahler (Mahler et al., 1975) sullo sviluppo psichico infantile. L'autrice sostiene che il primo mese di vita del neonato sia caratterizzato da un “autismo normale”, in cui il bambino è rivolto verso se stesso, centrato sui suoi bisogni, non ha consapevolezza dei suoi caregiver ed è relativamente indifferente nei confronti degli stimoli esterni. Dal secondo al quarto mese, il bambino passa a una seconda fase, detta “simbiotica”, in cui si rappresenta il rapporto di dipendenza con la madre come se egli facesse parte con lei di una stessa unità non differenziata. Successivamente prende il via il "processo di separazione-individuazione", che si protrarrà fino al terzo anno di vita e attraverso il quale il bambino giungerà a percepirsi separato dalla madre e strutturerà il suo senso di identità.
Il processo di separazione-individuazione è diviso in quattro sottostadi.
Durante il primo sottostadio, “differenziazione e sviluppo dell'immagine corporea” (4º– 8º mese), il bambino prende coscienza del suo corpo e dei suoi schemi senso-motori, comincia a esplorare l'ambiente e riesce a distinguere la madre dalle altre persone.
Nel corso del secondo sottostadio, detto della “sperimentazione” (8º – 14º mese), il bambino mette alla prova le sue accresciute capacità motorie, allontanandosi e avvicinandosi alla madre, al fine di creare con lei una “distanza ottimale” che gli consenta di giocare, di esplorare attivamente l'ambiente e di controllare contestualmente la sua paura della separazione.
Nel corso del terzo sottostadio, detto del “riavvicinamento” (14º – 24º mese), il bambino presta molta attenzione alla madre, a ciò che le accade e alle sue reazioni, alternando movimenti di avvicinamento e di allontanamento che gli consentono, intorno ai 21 mesi, di trovare una distanza ideale da lei.
Nell'ultimo sottostadio, detto della “costanza dell'oggetto libidico” (3º anno), il bambino perviene a una rappresentazione stabile e distinta di se stesso e della madre, afferma la sua individualità e riesce a svolgere attività piacevoli anche in caso di una sua assenza prolungata.
Secondo Blos (1962, 1967), in adolescenza si verifica un secondo processo di separazione – individuazione che comporta il distacco emozionale dagli oggetti infantili interiorizzati e lo speculare allontanamento dalle figure genitoriali. Il venir meno del supporto egoico dei genitori, insieme all'aumentata intensità della tensione pulsionale, è responsabile della debolezza dell'Io che, secondo Blos, caratterizza l'adolescenza. Tuttavia, affinché si concluda la formazione del carattere è indispensabile che l'adolescente si differenzi e diventi sempre più indipendente dal suo ambiente.
L'adolescente alterna movimenti di allontanamento e riavvicinamento nei confronti delle proprie figure genitoriali, oscillando tra disinvestimento affettivo e moti regressivi. Il disinvestimento affettivo dei genitori è funzionale a prendere le distanze dai legami infantili interiorizzati, e di investire in nuove relazioni e in nuove attività, ma determina un senso di vuoto e di isolamento. L'angoscia che questi ultimi determinato viene fronteggiata attraverso moti regressivi che portano a prediligere l'azione rispetto al pensiero, ad ammirare in maniera incondizionata altri adulti (reminiscenza dell’idealizzazione dei genitori), ad attivare stati emozionali fusionali (ad esempio, all'interno di gruppi guidati da un determinato ideale) e a ricercare stimolazioni costanti che consentano di colmare il vuoto.
In seno a questo processo, l'adolescente riesce a trovare una sempre maggiore separatezza dalle figure genitoriali, a orientarsi verso il gruppo dei pari (prima adolescenza), a investire su altri oggetti e su ideali diversi da quelli familiari (adolescenza vera e propria), e ad acquisire un senso stabile e separato di sé, divenendo autonomo dalle fonti di sostegno esterno (tarda adolescenza).

Attaccamento, esplorazione e autonomia

I moltissimi riscontri delle ricerche empiriche condotte nell'ambito dell'Infant Research nel corso degli ultimi decenni (vedi ad es. Beebe, Lachmann, 2002; Riva Crugnola, 2007) hanno dimostrato che, fin dalla nascita, il bambino è orientato verso la realtà, è in grado di differenziare se stesso dal mondo esterno, di organizzare in maniera coerente ciò che percepisce e ciò che vive, e di sintonizzarsi e interagire con l'ambiente intorno a lui. Alla luce di queste evidenze, le ipotesi freudiane e mahleriane sullo sviluppo psichico infantile non sono sostenibili. Allo stesso modo, i dati che indicano come per la maggior parte degli individui l'adolescenza sia un periodo privo di particolari criticità (Offer, Offer, 1975; Rutter et al., 1976; Offer et al., 1991), depongono a sfavore di molti aspetti delle teorie classiche qui enucleate che ne hanno sottolineato il carattere turbolento. La spinta all'autonomia, compresa nel sistema motivazionale esplorativo-assertivo di Lichtenberg (1989), non è in antitesi con le altre motivazioni dell'individuo, ma piuttosto presente fin dalla prima infanzia: fa parte di un insieme di motivazioni il cui ordine gerarchico muta al variare delle esigenze di ogni specifico momento e dei compiti di sviluppo precipui di ogni fase della vita (ibidem).
Le concettualizzazioni psicoanalitiche dell'adolescenza concordano nel ritenere centrale, conseguentemente alle trasformazioni puberali, il superamento della dipendenza infantile nei confronti dei caregiver, la sostituzione dei legami primari con rapporti più maturi di tipo amicale e sentimentale-sessuale, e il raggiungimento di una definizione di sé come individuo separato dai propri genitori. La letteratura scientifica e le concettualizzazioni più moderne hanno messo fortemente in discussione questi assunti.
La ricerca evolutiva (Sameroff, Emde, 1989; Stern, 1989) ha evidenziato come sia centrale nell’individuo la ricerca ed il mantenimento di relazioni significative e reciproche. L'essere umano possiede delle disposizioni innate che permettono l'emergere, fin dalle prime fasi dello sviluppo, di complesse capacità sociali e interattive (Schaffer, 1977; Trevarthen, 1979). L'intreccio fra tali competenze precoci e le dinamiche interattive esperite nel corso della prima infanzia si è rilevato un prezioso indicatore dello sviluppo successivo (Sroufe, 1995, 2005; Sroufe et al., 2005; Schore, 2001a, 2001b). Le ricerche e gli studi nell'ambito della Teoria dell'Attaccamento (Bowlby, 1969; Bowlby, 1989; Cassidy, Shaver, 2010) hanno evidenziato come la motivazione centrale del neonato alla nascita sia la ricerca di un legame di attaccamento stabile, ossia la ricerca di un legame affettivo significativamente gratificante all'interno del quale trovare protezione, cura e conforto. La vicinanza e la disponibilità di una figura amorevole, obiettivo esterno a cui mirano i comportamenti d'attaccamento del bambino, garantisce il raggiungimento di un senso di sicurezza (obiettivo inteno): in caso di pericolo o necessità c'è qualcuno che si occupa di me, e posso stare tranquillo!
Questo bisogno di sostegno rimane attivo per tutto il corso della vita: nel corso degli anni la vicinanza fisica delle figure di attaccamento non sarà più indispensabile, basterà saperne la disponibilità e la reperibilità. Tutti i legami significativi saranno investiti da questa motivazione: potrà restare sullo sfondo quando le cose vanno bene, si è felici e soddisfatti, impegnati in una conversazione piacevole, in attività divertenti, quando si fa sesso, oppure quando si è concentrati nella propria attività di studio o lavorativa, si legge un libro o si guarda un film, si visita una città, ci si dedica a uno sport, ci si dedica alla risoluzione di un problema, ecc. Quando, invece, insorgerà una qualche difficoltà, un malessere fisico o emotivo, una preoccupazione, il bisogno di avere qualcuno vicino pronto a prestare ascolto, conforto e aiuto si riattiverà con forza: ciò vale sia nella ricerca dell'ascolto del partner o di un amico per “sfogarsi” delle piccole frustrazioni quotidiane sia per difficoltà e sofferenze di grado maggiore. Quanto detto è possibile, ovviamente, solo nelle misura in cui le esperienze di attaccamento vissute abbiano creato l'aspettativa, conscia e/o inconscia, di trovare persone amorevoli e disponibili e di essere meritevoli di sostegno e disponibilità: in questo caso si parla di attaccamento sicuro. L'indisponibilità, o la disponibilità parziale, che si attendono le persone con un attaccamento insicuro in virtù delle esperienze negative vissute nel corso della propria storia evolutiva, può interferire con la motivazione all'attaccamento: o nel senso di una forclusione dei propri bisogni di protezione, conforto e cura (Attaccamento Distanziante), o nel senso di un eccessivo invischiamento derivato da una difficoltà a raggiungere un senso di sicurezza interno (Attaccamento Preoccupato).
In adolescenza, se è vero che i comportamenti d'attaccamento verso i genitori vengono attivati con meno frequenza a favore dei sistemi motivazionali esplorativo-assertivi, affiliativi, sessuali e oppositivi, i genitori permangono come “base sicura” a cui rivolgersi soprattutto in caso di difficoltà o di stress: pertanto, l'individuazione non si ottiene prendendo le distanze dai genitori, ma è qualcosa che necessita, piuttosto, della loro presenza discreta e del loro sostegno (Ryan, Linch, 1989; Ammaniti et al., 1999). Una storia di relazioni positive con i genitori, d'altra parte, è correlata con i comportamenti adolescenziali di ricerca dell'autonomia (Allen et al., 1994; Allen, Land, 1999).
Ad ogni modo, nel periodo che segue immediatamente la pubertà si riducono considerevolmente, per poi aumentare nuovamente in fasi più avanzate dell'adolescenza, la condivisione delle decisioni con i genitori (Hill, 1988; Montemayor, Hanson, 1985; Steinberg, 1981), l'intimità affettiva (Steinberg, 1997) e il tempo passato con loro (Csikzenmihalyi, Larson, 1984; Youniss, Smollar, 1985). Sempre nella prima adolescenza, il funzionamento familiare può divenire meno soddisfacente (Olson et al., 1983) e i conflitti essere più aperti. Tuttavia, il conflitto tipicamente non è mai intenso e non porta a una diminuzione della forza del legame affettivo (Montemayor, 1982,1983; Smentana, 1988).
Durante le separazioni dai genitori, via via sempre più lunghe, l'adolescente può mettere alla prova le proprie capacità, cercare nuove figure di attaccamento, acquisire nuove competenze e un senso sempre maggiore di autoefficacia (Rice, 1990). Anche nelle fasi di “distacco dalla famiglia”, i genitori continuano a costituire una fonte di aiuto, sia concreta e vicina, nei momenti di bisogno e di stress, sia a distanza in maniera potenziale: la loro disponibilità e il loro incoraggiamento, rispetto a compiti adeguati all'età, facilita i moti esplorativi e di autonomizzazione del figlio adolescente (Ryan, Lynch, 1989).
Il mutamento dei rapporti tra genitori e figli adolescenti, da questa prospettiva, può essere inteso come "una riorganizzazione e ridefinizione dei legami familiari" (Steinberg, 1990) piuttosto che come un progressivo processo di distacco.
La ricerca ha dimostrato come la funzionalità o la disfunzionalità, per la crescita dell'adolescente, degli scontri tra i genitori e i figli, dipenda da fattori contestuali e individuali (Cooper, 1988; Cooper, Ayers-Lopez, 1985; Hauser et al., 1991; Youniss, Smollar, 1985). Ad esempio, sono state evidenziate alcune differenze sostanziali fra adolescenti con stili di attaccamento diverso (Allen, Land, 1999; Becke-Stoll, Fremmer-Bombik, 1997; Reimer et al., 1996). Se gli adolescenti con attaccamento Sicuro negli anche intensi disaccordi con i genitori dirigono i loro sforzi per preservare sia i propri bisogni di autonomia sia la relazione con loro, nelle coppie di genitori e figli con attaccamento Insicuro le cose vanno diversamente: i problemi vengono evitati, si verifica un forte disinvestimento emotivo da una o da entrambe le parti, o, viceversa, l'eccessivo invischiamento e/o una rabbia estrema rendono impossibile la risoluzione dei conflitti.



La costruzione dell'identità

I vari autori che si sono occupati di psicologia dell'adolescenza concordano nel porre al culmine di questa fase evolutiva il raggiungimento di una nuova organizzazione psichica matura che sancisce l'ingresso nel mondo degli adulti: il tema della costruzione dell'identità, pur non sempre costituendone il perno, ha rappresentato una linea di riflessione rilevante in ognuna di queste concettualizzazioni. Tuttavia, fu Erikson (1959, 1963, 1964, 1982) il primo a occuparsene estesamente e a considerare la ricerca della propria identità il compito di sviluppo principale di ogni adolescente.


Erikson

Erikson (1968, p. 192) definisce l'identità una “configurazione che gradualmente integra dati costituzionali, esigenze libidiche idiosincratiche, capacità preferite, identificazioni significative, difese efficaci, sublimazioni ben riuscite e ruoli consistenti”. È l'esito di un processo che si pone in linea di continuità con le sue origini infantili, ma che incontra in adolescenza una fase di riorganizzazione che connota un periodo “naturale” di sradicamento e di crisi d’identità, la cui risoluzione dipenderà dalle peculiari modalità con cui durante l'infanzia sono stati integrati i differenti elementi identitari (Erikson, 1963, 1964, 1982). Le identificazioni passati e attuali, le competenze che si ha avuto modo di sperimentare e i ruoli assunti nelle diverse relazioni significative verranno riorganizzati in un complesso unico e quanto più coerente possibile (Eriskson, 1968, 1982).
Distanziandosi dalla teoria psicoanalitica, Erikson (1963) ritiene che il risultato di questo processo derivi dallo scambio attivo tra l'individuo e il suo ambiente fisico e sociale. La dimensione pulsionale perde la sua centralità a favore dei modelli di funzionamento che si succedono allo scopo di assolvere agli specifici compiti evolutivi, funzionali a mediare la forza delle pulsioni e a intessere i rapporti sociali. Lo sviluppo psichico è visto alla luce di uno sforzo continuo ad adattarsi all'ambiente: gli stadi dello sviluppo psicosessuale concettualizzati da Freud (1905) vengono messi in relazione con gli aspetti culturali e sociali, ed estesi lungo tutto il corso dello sviluppo (Erikson, 1950). Nella modellizzazione eriksoniana, lo sviluppo individuale si declina lungo otto tappe che si succedono dall'infanzia all'età adulta, ciascuna delle quali caratterizzata da una potenziale crisi evolutiva che ha per scopo il raggiungimento di una determinata “virtù” attraverso il superamento di uno specifico dilemma psicosociale che nasce dalla relazione tra l'individuo e il suo ambiente. La maturazione fisica ha ripercussioni personali e sociali e, al contempo, le pressioni socioculturali ne influenzano considerevolmente lo sviluppo. Vi è un adattamento reciproco tra l'individuo e la “cultura”: le diverse culture rivelano modi idiosincratici di guidare e promuovere il comportamento dell'individuo in ogni fase del suo sviluppo. Le “crisi” descritte negli otto stadi sorgono dall'interazione tra la maturazione psico-fisica e le aspettative sociali. Ciascuno di questi stadi è dominato da “problemi” che rimangono sullo sfondo in altre fasi della vita. Se le crisi non trovano una soluzione soddisfacente nel corso dello specifico stadio di cui sono espressione, l'individuo si troverà a doverle fronteggiare anche in seguito, contemporaneamente alla crisi dello stadio specifico in cui si trova.
Durante il primo anno di vita (infanzia), periodo in cui Erikson (1950, 1968) colloca il primo stadio dello sviluppo individuale, il bambino ha il compito di acquisire un buon equilibrio tra una fiducia e una sfiducia di fondo nei confronti degli altri: se, grazie alla disponibilità e alla sensibilità dei caregiver nei confronti dei suoi bisogni, la conclusione di questa fase vede uno sbilanciamento nei confronti della fiducia, il bambino acquisirà un senso di “speranza” e una “fiducia di fondo”, in se stesso e negli altri, che lo guiderà nelle relazioni future.
Il secondo stadio è compreso tra i due e i tre anni (prima fanciullezza), periodo in cui il bambino comincia a esplorare l'ambiente con maggior curiosità e ad acquisire una maggior padronanza nei movimenti, nell'utilizzo del linguaggio e nel controllo sfinterico. Il dilemma è tra l'autonomia e le sensazioni di vergogna e dubbio: una presenza dei genitori che rassicuri e che al tempo stesso valorizzi i comportamenti esplorativi e i primi moti di autonomia, favorirà nel bambino l'acquisizione di una maggiore indipendenza fisica e psicologica, e gli consentirà di cominciare a porre la propria “volontà” (la “virtù” di questa fase) in contrapposizione a quella altrui.
Tra i quattro e i cinque anni (età del gioco), il conflitto è tra lo spirito di iniziativa e il senso di colpa. La “finalità” è la “virtù” che caratterizza questo stadio. Esso è centrato sull'identificazione con i genitori, percepiti come grandi e potenti. I genitori vengono utilizzati sia come modello identitario sia come polo da cui allontanarsi per sperimentare la propria operosità e la propria iniziativa. Il gioco di “ruoli” caratteristico di questa fase richiede una valorizzazione coinvolta e flessibile che sostenga lo spirito d'iniziativa del bambino.
Dai sei anni alla pubertà (età scolare), il dilemma è tra l'industriosità e l'inferiorità. In questo stadio, la virtù da raggiungere è un senso di “competenza”: entrando a scuola, il bambino fa il suo ingresso nel mondo della conoscenza e del lavoro; è il periodo in cui gli apprendimenti hanno un ruolo di primo piano, in cui vengono ampliate e messe alla prova le proprie abilità. L'acquisizione di un senso di industriosità, competenza e padroneggiamento, o al contrario di inadeguatezza e inferiorità, dipenderà dalla qualità delle esperienze che verranno fatte durante questa fase.
Se i dilemmi tra intimità e isolamento, generatività e stagnazione, integrità e disperazione/disprezzo, costituiscono i temi centrali rispettivamente della giovinezza, dell'età adulta e della senilità, è in adolescenza che la ricerca della propria identità assume una posizione di rilievo.
Le profonde trasformazioni somatiche e le pressioni culturali a prendere decisioni relative alla propria formazione e alla propria occupazione futura, spingono gli adolescenti a integrare le diverse identificazioni infantili, a cercare nuovi modelli e a sperimentare nuovi ruoli. Il conflitto, in questa fase, è tra l'identità e la diffusione dell'identità: esso prevede un'oscillazione fisiologica fra ruoli, relazioni e mete diverse (moratoria psicosociale), e l'assunzione di un senso di sé più definito che integri in maniera quanto più possibile coerente le antiche e nuove immagini di sé. La società ha un ruolo importantissimo in questa fase, poiché ha la funzione di fornire all'adolescente la possibilità di sperimentarsi in ruoli diversi e di offrirgli strutture ideologiche in cui il giovane può riconoscersi ed essere riconosciuto. In questo senso, per Erikson, l'adolescenza è la fase del ciclo vitale in cui la cultura esercita il suo influsso maggiore. Se l'esito delle tappe evolutive precedenti ha un impatto non trascurabile sulla crisi d'identità che caratterizza l'adolescenza, la società può fornire all'adolescente un valido supporto per superare i dilemmi non risolti in precedenza, favorire l'integrazione delle diverse identificazioni infantili, e offrire dei ruoli in cui l'adolescente può sperimentarsi e che lo facilitino nell'effettuare le scelte che delineeranno la sua identità futura. La “fedeltà” è la virtù di questo stadio di sviluppo, e riguarda sia un più maturo senso di fiducia nei confronti di se stessi e degli altri sia la capacità di rimanere leali nei confronti di una causa, al di là della matrice ideologica da essa sottesa.

Marcia

Partendo dalle concettualizzazioni di Eikson, Marcia (1966) ha descritto quattro stadi dell'identità che si susseguono nel corso dell'adolescenza e che segnano il percorso evolutivo finalizzato all'acquisizione dell'identità adulta. Tale percorso procede dai livelli meno organizzati a quelli più organizzati: dalla “diffusione dell'identità”, che può essere vissuta come una crisi o meno, ed è caratterizzata da un'esplorazione superficiale e mutevole, e da uno scarso impegno in relazioni e attività; “all'acquisizione dell'identità”, in cui, al culmine di un'esplorazione impegnativa e profonda, ci si impegna nelle alternative scelte. Tra questi due poli estremi, Marcia colloca la “moratoria”, in cui l'esplorazione, approfondita ma mutevole, non conduce a compiere scelte a cui dedicarsi e porta l'adolescente a sperimentare una crisi, e la “conclusione precoce”, in cui vi è un'inibizione dell'esplorazione e una tendenza a far propri i desideri dei genitori o di altri adulti.
Marcia considera la successione degli stati d'identità identica in ogni adolescente. Tuttavia, studi successivi (Meeus et al., 1999) hanno dimostrato che l'adolescente può rimanere bloccato in uno dei quattro stati o percorrerli seguendo percorsi diversi e oscillatori.
Infine, se Marcia ha posto la crisi d'identità nella tarda adolescenza, tra i 18 e i 22 anni, Erikson, come altri autori, ha sottolineato come il conflitto d'identità cominci già nelle prime fasi dell'adolescenza.


Uno sguardo d'insieme

Nonostante l'eterogeneità del pensiero degli autori che si sono occupati di adolescenza, è possibile delineare alcuni aspetti su cui sembra esserci abbastanza accordo.
L'adolescenza è una fase evolutiva il cui inizio ruota intorno alla pubertà e che si estende negli anni successivi. È una fase in cui, unitamente alla maturazione sessuale e alle trasformazioni corporee, l'individuo sviluppa notevolmente le sue abilità cognitive, nonostante le sue capacità di regolazione emotiva non siano ancora giunte a maturazione. I rapporti familiari ed extra-familiari cambiano notevolmente: l'adolescente è maggiormente rivolto verso l'esterno; esplora e si sperimenta in attività e relazioni diverse. In questa fase l'individuo si trova a dover fronteggiare alcuni compiti di sviluppo che interessano tutta l'adolescenza, ma che divengono dominanti in alcuni periodi:
  1. rivolgimento verso di sé e integrazione delle modifiche corporee (prima adolescenza, 11-12 fino ai 14 anni);
  2. autonomizzazione, individuazione, e creazione di legami extra-familiari (seconda adolescenza, 14-15 fino ai 17-18 anni)
  3. costruzione dell'identità (tarda adolescenza, 17-18 anni fino al raggiungimento dell’età adulta).


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